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Non c’è niente di male nel fare del proprio meglio o nell’avere obiettivi elevati, ma quando facciamo coincidere i risultati ottenuti con il nostro valore come persona ci esponiamo inevitabilmente al fallimento. Ma cosa c’è dietro il perfezionismo e quando questo diventa un problema?

perfezionismo

Claudia è una perfezionista. L’attenzione al dettaglio è sempre stato un suo grande vanto, e in ogni pagina che scrive cerca di descrivere al meglio ogni particolare, in modo da riuscire a trasmettere al lettore ogni emozione presente nelle sue storie.

Claudia è un’affermata scrittrice e una perfezionista, ma sono tre mesi che non riesce più a completare il capitolo finale del suo ultimo libro. Scrive una frase, a volte due, poi torna indietro e cancella. “Così non va bene”, si dice ogni volta, “non ci siamo”.

Claudia è una perfezionista ma ha delle scadenze. L’editore le ha chiesto più volte la bozza del suo ultimo romanzo, ma non riesce a completarlo. Sembra arrivata al limite: ci sono giorni che non ci prova nemmeno a scrivere, sente che non sarebbe in grado di farlo in maniera accettabile. Non solo in quei giorni, ma praticamente sempre, si sente tesa, stressata ed estremamente triste.

Claudia è una perfezionista, eppure in questo periodo si sente inutile, una nullità. Si vergogna di sé stessa, passa il tempo a ripetersi che non è in grado di fare niente, di essere una perdente, un fallimento completo.

Il problema della perfezione

Per molti, la ricerca della perfezione è un pregio. Specialmente per chi si ritiene un perfezionista. È chiaro che avere degli standard elevati e fare del proprio meglio è, generalmente, una buona cosa.

Il problema nasce quando quegli stessi standard elevati sono l’unica e sola meta da raggiungere. A volte può andare bene, se si lavora sodo e l’obiettivo è realistico. Ma cosa succede se l’asticella viene posta troppo in alto e non è possibile raggiungere quel livello?

E quali sono i costi da sostenere per arrivare fin lassù? E, una volta arrivati, il beneficio che se ne potrebbe trarre potrebbe giustificare tutti i sacrifici, le rinunce e le notti in bianco?

Perfezione a tutti i costi?

Non sempre le cose vanno nel verso giusto, o certi obiettivi si rivelano irraggiungibili. Chi ha tendenze perfezionistiche non sa quando è il momento di alzare bandiera bianca e di accettare che ciò che si poteva fare è già stato fatto. No, il vero perfezionista persevera. Semmai, è che non si è impegnato abbastanza.

Specialmente davanti a un obiettivo irrealistico, l’effetto di raddoppiare gli sforzi è di aumentare anche lo stress, la tensione e la fatica. E in queste condizioni di solito si commettono anche più errori. Diventa un circolo vizioso, dove a un maggiore sforzo corrisponde una performance peggiore, che viene compensata da uno sforzo ancora maggiore.

Ammesso e non concesso che si raggiungano gli standard desiderati, quale sarebbe il costo in termini di benessere personale? Tutti i sacrifici, la tensione, l’isolamento dagli altri o dai semplici piaceri della vita, visti come distrazioni che distolgono dall’obiettivo ultimo, hanno davvero senso? Il gioco vale davvero la candela?

O perfetti, o nulla

La domanda che viene spontanea, quando ci si trova davanti a persone che sacrificano tutto pur di tentare di raggiungere la “perfezione”, è piuttosto ovvia: perché?

La risposta, spesso, ha a che fare con l’idea che il proprio valore personale dipende dagli obiettivi raggiunti. Per un vero perfezionista, il valore di una persona coincide con ciò che si fa, non con ciò che si è. E quando è così, la prospettiva di “fallire” equivale al proprio fallimento come persona.

Così, ogni qualvolta ci si trova davanti a un obiettivo da raggiungere per confermare il proprio valore come essere umano, ci si espone inevitabilmente al fallimento. Se l’obiettivo è di prendere 30 e lode a ogni esame, cosa accadrà quando il professore-cerbero proporrà un 28? Cosa significherà per il perfezionista in erba quel “misero” voto?

Che non è stato abbastanza bravo? Che non si è impegnato abbastanza? Che non è in grado di andare avanti nel proprio percorso di studi? Che è un fallimento completo, una persona inutile, nemmeno in grado di superare degnamente uno stupido esame?

Vivere così è decisamente stressante. Ogni occasione può essere un pretesto per mettere in discussione il proprio valore, per considerarsi un fallimento, una persona indegna. Tutto questo perché si parte da una premessa tanto estrema quanto errata: io valgo per ciò che faccio.

Dietro la perfezione

Questa ricerca della perfezione come unico mezzo per confermare il proprio valore spesso ha radici antiche. Questa credenza potrebbe essersi sviluppata in un ambiente familiare in cui l’unico modo per ricevere affetto e attenzione era quello di eccellere. Ogni fallimento veniva decisamente criticato, ogni successo fortemente incoraggiato.

Non è l’unica spiegazione possibile, ovviamente. Ciò che è probabile, però, è che dietro il perfezionismo ci siano all’opera uno o più dei seguenti meccanismi:

  • L’illusione del controllo. La vita è innanzitutto incertezza, e l’incertezza spaventa. L’idea di avere controllo in determinate aree della propria vita è rassicurante, perché sappiamo che, almeno in certi contesti, siamo noi a poter controllare le cose. A patto però che vadano come diciamo noi. Cioè, che sia tutto perfettamente come lo vogliamo noi.
  • Il timore delle conseguenze. Riassumibile nell’assunzione: “se non sono perfetto potrebbero accadere brutte cose”. Se non si è perfetti, tutto potrebbe andare a rotoli. Se non si lavora al massimo, si potrebbe perdere il lavoro, la casa, finire sotto i ponti. Se l’arrosto non è perfettamente delizioso, i miei amici non verranno più a casa mia, nessuno vorrà avere a che fare con me, resterò sola e morirò sola.
  • Il bisogno di approvazione. Forse riflesso di un’infanzia dove l’affetto era condizionato al soddisfare l’altro, alcune persone tendenti al perfezionismo ripropongono la stessa dinamica nelle relazioni interpersonali. Coloro i quali ritengono di dover soddisfare perfettamente i bisogni degli altri per poter essere davvero amati e accettati si trovano davanti a un compito impossibile ed emotivamente assai impegnativo.

 

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Perfetto, così come sei

Che il tuo perfezionismo sia relativo al lavoro, alle relazioni interpersonali, allo status sociale o al vestiario, se sei un vero perfezionista conosci molto bene il prezzo che stai pagando per mantenere certi standard. Ansia, insicurezza, stanchezza, tensione, vergogna, timore di essere umiliati sono solo alcune delle condizioni che possono associarsi al perfezionismo.

Se associ il tuo valore esclusivamente agli standard che ti sei posto, o agli obiettivi che hai in mente di raggiungere, stai dimenticando un concetto tanto semplice quanto realistico: nessuno è perfetto. E la vita, quella vera, non è soltanto raggiungere un obiettivo o mantenere un determinato livello raggiunto. La vita è molto, molto di più. TU sei molto, molto di più.

Prenditi un momento: cosa c’è oltre l’oggetto del tuo perfezionismo? Cos’è che ti piace, che ti scalda il cuore, che ti fa sentire vivo? Cos’è che ti fa ridere?
Pensi di poter dedicare del tempo (per quanto poco pensi di averne) alle cose che ti fanno stare bene? Cosa potrebbe accadere se provassi a farlo davvero?

Pensaci: potrebbe essere un tuo nuovo obiettivo, di quelli però decisamente raggiungibili! Dedicare del tempo a ciò che ti piace e ti fa stare bene, ricercare un po’ di leggerezza in questo mondo sempre più frenetico e pesante.

E magari così scoprire che il tuo valore non si può misurare in base a ciò che fai, ma piuttosto dipende da quanto te ne dai.

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