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Gli amici sono una parte importante della vita di ciascuno di noi, ma non sempre è facile farsi dei nuovi amici, soprattutto in età adulta. Come conoscere persone nuove e scoprire nuove amicizie? Come si coltiva una nuova amicizia e come fare per mantenerla nel tempo?

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Facciamo un tuffo nel passato, in particolare negli anni della scuola: quanto ci sembrava semplice, allora, farsi dei nuovi amici?

Si cominciava presto: dalle prime uscite al parco o dall’ingresso alla materna c’era sempre un compagnuccio col quale condividere (o litigarsi!) una palla, una bambola, cose così. Negli anni successivi, tra le ore passate a scuola sempre in compagnia, le uscite per i compleanni e le feste, e le infinite partite a pallone per le strade sotto casa, le occasioni di stringere amicizia non sono mai mancate.

Anche dopo, al tempo delle superiori, le amicizie sembravano accendersi in maniera naturale: dalle uscite in comitiva alle prime manifestazioni di indipendenza, dalle prime crisi esistenziali a quelle con i propri genitori, dalle prime cotte alle prime delusioni, abbiamo scoperto quanto preziosi possano essere dei veri amici.

Poi è successo qualcosa, qualcosa che ha reso tutto più complicato: non solo creare nuove amicizie, ma anche mantenere quelle già in piedi. Questo qualcosa si chiama “vita adulta”, che è fatta sempre di tanti (troppi) impegni e poco tempo da investire nelle amicizie, a vantaggio soprattutto delle relazioni romantiche e familiari. Ma non è detto che non si possano più fare amicizie: forse è solo diventato meno facile, per il poco tempo e le poche occasioni a disposizione.

L’importanza dell’amicizia

Eppure, esattamente come per l’infanzia e l’adolescenza, avere dei buoni amici in età adulta può essere fondamentale per il nostro benessere. Gli amici si sostengono a vicenda, si confortano, si apprezzano e si motivano, perché hanno a cuore il bene dell’altro, senza particolari interessi personali. È una forma d’amore, per certi versi più altruistico dell’amore romantico.

Un’amicizia non è qualcosa che nasce per caso: gli amici si scelgono, perché sentiamo che si tratta di qualcuno che è in sintonia con noi, qualcuno con il quale sentirci a casa.

Gli amici ci ricordano chi siamo, ci proteggono dalla solitudine e ci fanno forza nei momenti difficili, ma sono anche i primi con i quali stappare una bottiglia per festeggiare un traguardo. Un buon amico è innanzitutto un partner, un alleato fedele, pronto al nostro fianco quando ne abbiamo più bisogno. E noi per loro.

I limiti della libertà

Tutto molto bello, sì. Ma come si fa? Come si fa a curare un rapporto di questo tipo, intimo e leggero allo stesso tempo, se non si ha il tempo per coltivarlo e mantenerlo? Come si fa, quando per lavoro, per amore o per mille altri motivi, si cambia città e si cambia vita? Quando abbiamo dei figli da crescere, una carriera da sostenere, una relazione da portare avanti, come si fa?

Gli amici di sempre, quelli con i quali siamo cresciuti, spesso restano presenti nelle nostre vite. Anche se il tempo, le distanze e gli impegni possono aver richiesto un certo prezzo da pagare, in termini soprattutto di frequentazioni, queste amicizie possono durare per tutta una vita. Se parliamo invece di fare nuove amicizie, può sembrarci molto difficile. Ma soprattutto può spaventare.

Quando eravamo piccoli non sembravano esserci molte “regole” per fare amicizia: ci si trovava e si giocava, basta. Se poi l’amichetto ci stava simpatico e avevamo modo di ritrovarlo (a scuola, al parco, a casa), si riprendeva a giocare. Da “grandi”, invece, siamo molto più complessi: “Dove lo trovo un amico con cui giocare? Come mi avvicino? Cosa gli dico? E se gli sto antipatico? E se è lui a stare antipatico a me?”.

Noi adulti generalmente abbiamo bisogno di struttura, la spontaneità l’abbiamo un po’ persa per strada. Paradossalmente, siamo molto più liberi di prima ma il campo sembra troppo ampio per sapere esattamente cosa fare. E poi ci sono i dubbi, le nostre insicurezze, le delusioni passate, il poco tempo da investire. Così finiamo per rinunciare: “Ormai è troppo tardi per farmi un nuovo amico…”.

Come trovare nuove amicizie

Eppure proprio questa grande libertà di azione – finalmente siamo grandi, e possiamo fare come ci pare! – può essere l’aiuto più importante per stabilire nuove amicizie in età adulta. Gli amici si scelgono, e noi possiamo scegliere, nel modo che ci è più comodo, con quali persone possiamo entrare in contatto. E da lì, magari, costruire un’amicizia.

La strategia migliore è quella di cercare persone con le quali possiamo stabilire una relazione basata sui nostri interessi, le nostre preferenze, la nostra visione della vita. Cioè, qualcuno con un terreno a noi comune, qualcuno di simile a noi. Perché amicizia è anche vedere sé stessi nell’altro.

Ok, ma da dove si comincia?

  • Un primo passo può essere partire dalla nostra già esistente rete sociale. Familiari, colleghi, persino gli amici che già abbiamo, possono presentarci nuove persone con le quali iniziare una frequentazione. Una persona amica di una persona a noi amica è già una potenziale amica! Inoltre così possiamo iniziare una frequentazione in un ambiente protetto, in compagnia di persone che già ci vogliono bene e con le quali già ci troviamo a nostro agio.

Se hai già battuto questa strada senza risultati forse è giunto il momento di mettersi in gioco. Cioè uscire dalla tua confort zone e fare il piccolo sforzo di uscire dal terreno a te familiare per sperimentarti nel mondo.

  • Al giorno d’oggi ci sono tantissime opportunità di socializzazione (al di fuori dei social): corsi, eventi, gruppi sportivi, associazioni culturali (a proposito, se siete di Monterotondo o dintorni vi consiglio di cominciare dall’Associazione PETRA!). Le possibilità sono infinite. Il consiglio, in questi casi, è di scegliere un’attività che possa piacerci realmente (se non ci piace cucinare non ha senso iscriversi a un corso di cucina solo per fare nuove amicizie!), non solo perché probabilmente troveremo persone con interessi in comune, ma anche perché se ci concentriamo sull’attività piuttosto che sul fare amicizia, potremmo anche sentire meno pressioni nel “trovare un amico” e così, indirettamente, rendercelo più facile!
  • Se ti trovi in una determinata fase della vita, come quella della gravidanza, avrai modo di trovare persone “sulla tua stessa barca” in contesti specifici, come un corso preparto: questi compagni di avventura non solo potrebbero esserti di aiuto nel gestire un momento particolare della tua vita, ma potrebbero anche rivelarsi delle potenziali nuove amicizie.
  • Sfrutta la rete locale partecipando ad attività ed eventi del tuo quartiere o della tua città: i nostri vicini di casa – che spesso immaginiamo come molto lontani anche se vivono a pochi metri da noi – possono rappresentare una grande opportunità per amicizie a km 0!
  • Il volontariato è un’altra grande opportunità per conoscere nuove persone appassionate alle cause che ci stanno più a cuore, oltre a essere una gran bella occasione per fare un po’ di bene a chi ne bisogno.
  • I “social”, dal mio punto di vista, sono l’ultima spiaggia. È vero che è molto più facile parlare dietro l’anonimia della rete, ma quanto vigore potrebbe avere un’amicizia nata in questo modo? Meglio sfruttare il web per individuare gruppi e forum tematici su argomenti di tuo interesse, per poi partecipare agli eventi organizzati… Occhio però!

Ingredienti per una (nuova) amicizia

Come l’amore, possono esserci amicizie stile “colpo di fulmine” e altre che richiedono più tempo e cura. La maggior parte delle volte, comunque, i conoscenti si trasformano in amici solo dopo un certo periodo, ammesso che in questo lasso di tempo ci si sia dedicati a coltivare la relazione. L’amicizia è un processo: si comincia dal presentarsi e da lì si costruisce.

Non esiste un regolamento universale sul come costruire e mantenere un’amicizia, ma possiamo comunque individuare alcuni ingredienti fondamentali per stabilire una sana e solida amicizia:

  • Disponibilità e interesse. Una frequentazione costante è decisiva per costruire una nuova amicizia, quindi è molto importante trovare del tempo da dedicare a esperienze condivise. Quindi di fronte a offerte o inviti, cerca sempre di dire di sì, per quanto ti è possibile. Lo so, il tuo tempo è prezioso… ma chi trova un amico trova anche un tesoro, giusto?
  • Intimità e fiducia sono alla base dell’amicizia, ma non c’è bisogno di snocciolare tutti i vostri segreti e pensieri più intimi immediatamente! Condividi qualcosa di te a piccole dosi e lascia che l’altro faccia lo stesso: pian piano si creerà il contesto migliore per il giusto grado di confidenza.
  • Affidabilità e coerenza. Rimani fedele alla tua parole e alle promesse fatte: se ti sei impegnato in qualcosa, portala a termine. Un amico è qualcuno su cui sentiamo di poter fare affidamento, ma dobbiamo essere noi stessi affidabili prima di poterlo richiedere all’altro. Fin dall’inizio, occorre dare il buon esempio.
  • Reciprocità e uguaglianza. Ci vuole uno sforzo comune per costruire un’amicizia, quindi non puoi essere sempre e solo tu a impegnarti in questo processo. Se dall’altra parte non c’è lo stesso investimento difficilmente potrà svilupparsi una vera e profonda amicizia. Non si tratta di tenere il conto di quanto fa uno e quanto fa l’altro, si tratta di capire se tutto l’investimento di tempo, energie ed emotività ci sta conducendo verso una relazione importante o se è il caso di restare solo buoni conoscenti.

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Se proprio non riesci

Se pensi di aver già tentato ogni strada ma continui ad avere difficoltà nel trovare nuove opportunità o nell’instaurare una nuova amicizia, ti invito a soffermarti su alcuni aspetti:

  • Attenzione a come interpreti un rifiuto. Sii consapevole di come ti approcci: se parti già con l’idea di non piacere agli altri, potresti tendere a interpretare alcuni eventi come conferme della tua idea iniziale. Ti avvicini cioè all’altro con un pregiudizio, ma non nei suoi confronti, bensì nei tuoi! Quando ti trovi di fronte a un ostacolo o a un problema nel rapporto con un potenziale amico, cerca di considerare spiegazioni alternative oltre all’idea che nessuno vorrà mai essere tuo amico. Ad esempio, è possibile che quella persona non abbia accettato un tuo invito perché davvero aveva un impegno che non poteva annullare?
  • Sii paziente verso te stesso e gli altri. Raramente capita di diventare amici per la pelle al primo sguardo, spesso il processo di costruzione di un’amicizia è molto più lungo e non sempre è facile: ci vuole tempo e fiducia per raggiungere quel giusto grado di intimità che caratterizza un’amicizia con la A maiuscola. Non cercare un risultato immediato e non scoraggiarti se con alcune persone non riesci proprio a trovare un legame: nell’amicizia, come nell’amore, l’importante è la qualità, non la quantità. Continua a metterti in gioco, i risultati non tarderanno ad arrivare.
  • Se hai bisogno di supporto, non ti senti pronto o non sai proprio come fare, non esitare a chiedere aiuto. Forse provi un po’ di ansietta al pensiero di dover parlare con uno sconosciuto, o pensi di non sapere nemmeno da dove cominciare: qualunque sia il motivo, se senti di aver bisogno di aiuto, sono a tua disposizione.

In ogni caso, vai avanti e non mollare. Anche se non sempre è facile, ricorda che ne vale sempre la pena. Per dirla con Epicuro:

«Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un’esistenza felice, la più grande è l’amicizia.»

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Riuscire a comunicare in maniera efficace non è sempre facile, e molte volte le relazioni che instauriamo sono il risultato di queste difficoltà. È possibile però riuscire a comunicare meglio e avere relazioni più soddisfacenti semplicemente imparando a comportarsi in maniera assertiva: come essere pienamente sé stessi quando si è con gli altri.

assertività

Nel bene e nel male, tutti noi siamo profondamente inseriti in un tessuto di relazioni sociali. Che sia il rapporto con il partner, quello con il capo o con il vicino di casa, in ciascuna di queste relazioni ci siamo comunque noi, con le nostre esigenze e i nostri desideri. Che non sempre coincidono con quelli dell’altro. E non sempre è facile riuscire a mediare tra i nostri bisogni e quelli dell’altro.

Ciascuno di noi presenta delle caratteristiche relazionali e comunicative assolutamente uniche che si esprimono all’interno dei rapporti che instauriamo con gli altri. Rapporti che possono essere molto diversi tra di loro, e allo stesso modo noi stessi possiamo sentirci “diversi” in relazioni differenti. Infatti, il modo con cui ci rapportiamo al “supermegadirettore” potrebbe essere completamente diverso rispetto a come siamo con la persona che amiamo. E non è detto che in quest’ultimo caso la relazione sia più facile!

Alcune persone possono avere molte difficoltà nel riuscire ad esprimere i loro sentimenti, i loro bisogni e le loro idee nel rapporto con altri. Non è necessariamente una questione di timidezza o di inibizione, ma piuttosto di comunicazione soddisfacente ed efficace. Un concetto particolarmente utile per migliorare le proprie abilità comunicative e il rapporto con sé stessi e gli altri è quello di assertività.

Assertiviche?

Il termine assertività (reso anche come affermatività) deriva dal latino asserere, che altro non significa che “asserire”. Ma asserire, cioè esprimere, cosa? Assertività significa nient’altro che esprimere le proprie emozioni, i propri sentimenti, le proprie opinioni in maniera efficace e produttiva.

Una descrizione dell’assertività che a me piace molto mette l’accento sul far valere i propri diritti nel rispetto di quelli dell’altro attraverso di una modalità di comunicazione chiara, diretta e coerente.

In generale, l’assertività si compone di diverse abilità comunicative e relazionali, abilità che possono essere imparate ed esercitate e che consentono di comunicare in maniera funzionale e rispettosa. Tra queste troviamo:

  • Espressione dei sentimenti. Cioè comunicare ciò che si prova, nel bene e nel male;
  • Indipendenza. La capacità di esprimere le proprie opinioni e di non conformarsi necessariamente alle pressioni degli altri;
  • Iniziativa. Essere in grado di agire e comunicare in modo da soddisfare i propri bisogni. Quindi riuscire a fare richieste, chiedere favori, ma anche essere in grado di mediare;
  • Difesa dei diritti. Ad esempio, dire di “no” a richieste che ci vengono fatte;
  • Abilità sociale. In generale, essere a proprio agio nel relazionarsi con l’altro, che sia il chiedere informazioni a uno sconosciuto o corteggiare una persona che ci piace.

Il training all’assertività nasce in ambito clinico come soluzione per chi manifesta importanti difficoltà comunicative, ma può essere applicato a chiunque voglia anche solo imparare a comunicare meglio e con maggiore consapevolezza in situazioni in cui potrebbe non riuscire bene a farlo. Magari a causa di concenzioni errate legate alla comunicazione e al rapporto con l’altro o perché, semplicemente, non si è mai imparato a relazionarsi con gli altri in maniera appropriata.

Stili di comunicazione

Nonostante l’ampia variabilità tra le persone, le differenti caratteristiche comunicative e relazionali possono essere comprese all’interno di alcune categorie. Oltre allo stile assertivo, troviamo anche altre due modalità che, idealmente, ne rappresentano gli estremi: la modalità passiva e la modalità aggressiva.

Per iniziare a comprendere le caratteristiche dei tre stili comunicativi, possiamo considerare la capacità di esprimere sé stessi nel rispetto dell’altro. Nella modalità assertiva questa capacità è pienamente presente, mentre chi si caratterizza per uno stile “passivo” tenderà a rinunciare all’espressione di sé e a sottostare al volere dell’altro. La modalità “aggressiva” è invece propria di chi è in grado di esprimere sé stesso ma senza riguardo per l’altro.

È importante chiarire come queste categorie siano più una semplificazione a beneficio dell’esposizione, che rigidi raggruppamenti  nel quale incasellare le persone. Sempre per comodità di spiegazione, tuttavia, passerò a descrivere le caratteristiche di questi stili comunicativi utilizzando alcuni noti personaggi, secondo un’analogia usata da una mia grande docente.

Fantozzi, il passivo

Come per il famoso ragioniere, la persona con un comportamento passivo tende a subire e a sottomettersi agli altri. Non è in grado di esprimere i propri sentimenti e le proprie opinioni, teme il giudizio degli altri, non è in grado di dire di no, ritiene gli altri migliori di sé stessa.

Perché si comporta in questo modo? Essenzialmente, per evitare conflitti o compiacere l’altro. Certo, a breve termine sembra una buona modalità di relazionarsi (bye bye ansia!), ma alla lunga, potete scommetterci, prevarrà il senso di sconforto, di impotenza e di frustrazione. Ci sarà un calo dell’autostima e ricadute negative rispetto all’immagine che si ha di sé. Non è insolito, inoltre, che prima o poi si potrebbe anche “sbottare”, arrivando addirittura a esprimere la propria rabbia in maniera incontrollata.

E chi ha a che fare con un “passivo”? Anche qui, all’inizio può anche starci bene, ma più in là potremmo addirittura sentire un certo astio nei confronti di una persona così accondiscendente, senza considerare che possono addirittura emergere sensi di colpa per la sensazione di essersi “approfittato” dell’altro.

Sgarbi, l’aggressivo

Anche se ultimamente sembra essersi un po’ calmato, il noto critico d’arte è celebre per il suo comportamento iroso e sprezzante. La persona con comportamenti aggressivi, a differenza dello stile Fantozzi, tende a prevaricare sugli altri. Quando interagisce con l’altro, l’unica persona che ha davvero importanza è soltanto sé stessa. Non rispetta i diritti altrui, la colpa non è mai sua, pensa che gli altri siano tutti delle “capre”. Le uniche opinioni giuste e che contano sono solo le proprie.

Chi si comporta in questo modo si sente forte e potente, in grado di tenere la situazione sotto controllo grazie ai suoi modi “decisi”. A lungo termine, però, la persona “aggressiva” paga lo scotto di una tensione costante, e non è insolito che provi anche sensi di colpa o di vergogna nei confronti di chi è stato “vittima” dei propri comportamenti.

L’altro, a primo impatto, potrebbe anche rimandargli un’immagine di individuo che sa cosa vuole e come ottenerlo, che è una bella gratificazione. Ma non passerà molto che tenderà progressivamente ad allontanarsi dal “tiranno”: il rischio, per quest’ultimo, è di ritrovarsi isolato, messo da parte a causa dei suoi modi di comunicare e di relazionarsi con l’altro.

La terza via

Tra la sottomissione e l’aggressione, esiste una modalità decisamente più utile: l’assertività. Comportarsi in maniera assertiva significa, essenzialmente, rispettare i propri diritti così come quelli degli altri, avere rispetto delle opinioni e delle emozioni proprie e altrui e non giudicare gli altri. Perseguire i propri obiettivi ma prendersi anche le proprie responsabilità.

Non è facile essere “assertivi”, soprattutto se veniamo da modalità relazionali estreme, ma i vantaggi di una tale modalità di stare in relazione con l’altro sono innegabili. L’assertività porta come conseguenza naturale un sano aumento dell’autostima e del senso di efficacia personale, una maggiore comprensione dei propri bisogni e necessità e una modalità più efficace di perseguirli, oltre che rispettosa dei diritti altrui. Per non parlare del miglioramento della qualità del rapporto con gli altri, a beneficio di entrambe le parti.

In sostanza, avere uno stile assertivo significa saper essere in grado di affrontare con la giusta serenità e in maniera efficace le situazioni problematiche che possono verificarsi nella relazione con l’altro. Per far questo, occorre però uscire dalle solite modalità interattive che abbiamo appreso nel corso della nostra vita e che, per un motivo o per un altro, semplicemente non ci aiutano a raggiungere i nostri scopi. O che ci tengono incastrati in relazioni, sentimentali e non, che non ci portano altro che sofferenza.

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Essere o non essere assertivi

Per delineare le differenze tra i tre stili interattivi, prima ho utilizzato come parametro la capacità di esprimere sé stessi nel rispetto dell’altro. C’è anche un altro elemento, però, che chiarisce ancora meglio cosa significa comportarsi in maniera “assertiva”: la possibilità di scegliere.

Quanto detto fin a ora rispetto alle modalità passiva e aggressiva lascia intendere che queste modalità siano assolutamente sbagliate e inappropriate. Non è così. In alcune situazioni, anzi, potrebbe addirittura essere meglio ritirarsi da un confronto verbale inconcludente o alzare la voce nei confronti di chi ci sta attaccando. Non esiste una ricetta su come ci si comporta in questa o in quella situazione, e l’assertività non è un dogma per cui ci si può relazionare solo in un determinato modo.

Il fattore fondamentale che distingue un comportamento assertivo da uno non-assertivo, è la capacità di scegliere come agire. Assertività è scegliere, consapevolmente e intenzionalmente, nel rispetto di sé stessi e degli altri, cosa fare e cosa dire. Non-assertività, invece, significa semplicemente re-agire alle situazioni, quindi essere in balìa degli eventi e delle decisioni degli altri.

Assertività significa essere pienamente sé stessi e agire di conseguenza. Se vuoi imparare a farlo, io ci sono.

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Si parla di ansia sociale quando una persona teme il rifiuto e il giudizio degli altri e prova estremo disagio quando si espone in situazioni sociali. Iniziamo a scoprire insieme di cosa si tratta e cosa accade nella mente di chi ne soffre.

ansia sociale

In quest’epoca altamente social, forse più che in passato, è sempre più importante il sentirsi accettati dagli altri. A dirla tutta, il sentirsi parte di un gruppo sociale è un bisogno fondamentale fin dall’alba dei tempi: se un individuo veniva escluso dalla “tribù” poteva tranquillamente dirsi spacciato, visto che avrebbe dovuto sopravvivere in condizioni difficilissime senza il supporto e la collaborazione con gli altri.

Al giorno d’oggi, in teoria, si può sopravvivere benissimo senza far parte di un gruppo sociale, ma qualitativamente non è il massimo. L’uomo è un animale sociale, lo è sempre stato e – probabilmente – sempre lo sarà. Ciascuno di noi ha bisogno degli altri, se non per la loro funzione di supporto quando stiamo male o abbiamo un qualche tipo di problema, quantomeno per l’importanza che gli altri rivestono nel rimandarci un’immagine di chi siamo. Semplicemente, senza la “bussola” dell’opinione altrui non avremmo modo di poterci definire (o almeno così siamo portati a pensare).

Nelle situazioni sociali, cioè quando abbiamo a che fare con altre persone, ciascuno di noi, più o meno consapevolmente, si adopera per far sì che venga ben visto e accettato dagli altri. Solitamente non è un processo forzato, ma ci viene naturale cercare di risultare simpatici, divertenti, affidabili. Non c’è niente di male né di artificioso nel cercare di “conquistare” gli altri o di fare in modo di essere accettati socialmente, poiché tali atteggiamenti rispondono al nostro bisogno di sentirci integrati agli altri.

Il rifiuto è dietro l’angolo

Nonostante i nostri “sforzi”, a volte però può capitare di non riuscire a conquistare i favori dell’altro. Non è che possiamo stare simpatici a tutti, e non è detto che la persona in quel momento si trovi bendisposta verso gli altri. Succede, eccome se succede! Infatti a tutti sarà capitato di non sentirsi pienamente accettati, se non addirittura di essere rifiutati apertamente o giudicati con severità.

Non stiamo parlando del classico “due di picche” da parte della persona che volevamo “conquistare”, ma anche del semplice sentirsi messi da parte e ignorati quando si interagisce con un gruppo di persone che abbiamo appena conosciuto. Nel gioco dell’approvazione sociale si vince e si perde, sarebbe bello se tutti noi riuscissimo a “connetterci” l’un l’altro con uno spirito di accettazione, di curiosità e di sincero interesse, ma purtroppo non è così.

Solitamente, davanti a situazioni di questo tipo ci si resta male per un po’, magari fino a fine serata, ma il più delle volte finisce lì. La maggior parte delle volte tali eventi di “rifiuto” non hanno grossi contraccolpi sul nostro modo di valutarci o di riprovare nuove esperienze di socializzazione. In sostanza, ce ne freghiamo. Ma purtroppo non per tutti è così.

Ansiosi sociali

Alcune persone (molte più di quanto si immagina!), spesso a seguito di eventi in cui si sono sentite rifiutate dagli altri o giudicati in maniera negativa, non riescono ad andare oltre quanto è successo e “se la legano al dito”. Il giusto timore di ricevere un rifiuto in ambito sociale diventa una fobia vera e propria, con conseguenze particolarmente negative sull’immagine di sé e sull’esposizione alle situazioni sociali.

Quello che le persone con ansia sociale temono, sostanzialmente, è l’essere giudicati negativamente dagli altri, magari proprio a causa del proprio modo di comportarsi quando si è in situazioni sociali (“la prestazione”). Per alcune persone le situazioni temute sono relativamente circoscritte (ad es. parlare in pubblico, mangiare davanti agli altri), per altri ancora la paura è più generalizzata e può associarsi a molti eventi sociali.

Paradossalmente, il rischio è la chiusura totale della persona con ansia sociale nei confronti degli altri. Sostanzialmente, dalla paura di essere rifiutati ed esclusi dagli altri, si arriva all’autoesclusione dalla compagine sociale.

Socialmente inadatti?

Come si è visto e come ben sappiamo tutti, a nessuno piace sentirsi rifiutati. Ed è perfettamente normale temere di essere giudicati negativamente dagli altri o di sentirsi esclusi, perché è qualcosa che effettivamente può capitare. Chi soffre di ansia sociale, però, tende a esagerare, e di molto, la probabilità che queste conseguenze possano accadere e i possibili effetti negativi che ne potrebbero derivare.

Questo perché spesso si tende a sottovalutare, e di molto, la propria capacità di agire “normalmente” in ambito sociale (di non sapere cosa dire, di non saper parlare “bene”, di avere una voce poco attraente, di essere goffo).

Ecco dunque che quando a un forte desiderio di dare un’impressione positiva di sé si unisce l’insicurezza e l’incertezza sul riuscirci, le situazioni legate alla socialità diventano fonte di estrema ansia. Gli eventi sociali diventano estremamente pericolosi perché si teme di agire in modo imbarazzante o inadeguato al punto di essere esplicitamente rifiutati e umiliati.

Guardare in direzione sbagliata

Quando si trova in una situazione temuta, la persona che soffre di ansia sociale è, giustamente, molto attenta a individuare segnali di disapprovazione da parte degli altri. Al primo cenno di possibile rifiuto o giudizio negativo, il fobico sociale ottiene la conferma che in lui c’è qualcosa che non va. Ma ciò che vede è davvero ciò che accade?

In realtà, molto spesso capita che la valutazione dei segnali altrui non sia particolarmente oggettiva. Questo perché chi soffre d’ansia sociale, in realtà, tende a fare inferenze su ciò che gli altri possono pensare di lui sulla base di come la persona pensa di apparire agli altri in quel momento. In poche parole: sento di essere goffo, quindi gli altri mi vedranno goffo e perciò verrò giudicato goffo.

Superficialmente, l’attenzione sembra rivolta agli altri, ma in realtà è tutta rivolta verso l’interno, su ciò che si sta provando (e giudicando di sé stessi) in quel particolare frangente. Perciò, se sto facendo un discorso davanti a molte persone e inizio a sentirmi accaldato, immagino che sto arrossendo e mi convinco che quello che sento e vedo io di me stesso è ciò che sicuramente anche gli altri staranno notando. “Guardalo, è tutto rosso! È imbarazzato! Ma cos’è, un bambino che si spaventa di parlare davanti agli altri? Che ridicolo!”. Mentre magari gli altri in realtà sono assolutamente ignari dell’imbarazzo dell’oratore!

E tutto questo che effetto avrebbe sull’effettiva “prestazione”? Com’è parlare in pubblico quando si percepiscono gli altri come ostili? Come andrebbe a finire? Intravedete anche voi un bel circolo vizioso?

ansia sociale

(Non) finisce qui, ma ho un messaggio importante!

A prima vista, l’ansia sociale così delineata potrebbe sembrare una problematica piuttosto banale, ma in realtà quelle che ho descritto sono solo alcune delle componenti che spiegano cosa c’è dietro questa paura delle situazioni sociali.

Molti altri elementi vanno considerati per comprendere a pieno cosa succede nelle mente (e nel corpo) di chi soffre di ansia sociale. Per non dilungarmi troppo e non tediarvi (sempre che non l’avessi già fatto! Ahi, paura del giudizio negativo?), ho preferito mettere da parte altri aspetti, che eventualmente, potrei ripresentare in un secondo post. Spero comunque di essere riuscito a fornire una panoramica, seppur breve, di cosa significa l’ansia sociale.

Vorrei comunque concludere questo articolo introduttivo con un messaggio importante per chi pensa (o sospetta) di soffrire per questa forma di ansia: non pensiate di non poterne uscire. Come per ogni altro problema psicologico, anche questo può essere risolto. Se volete, quando volete, come volete, io ci sono. Se volete parlarne con qualcuno, non preoccupatevi: non vi giudicherò.

 

Ti chiederei di condividere le tue esperienze rispetto al timore del rifiuto o del giudizio, ma se effettivamente per te è un problema non so se lo faresti! Ma se vuoi lasciare un commento o richiedere delle informazioni sentiti libero di farlo!

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