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Possono arrivare all’improvviso e senza un motivo apparente, tra sintomi fisici spaventosi e decisamente reali e la paura di morire o di impazzire: gli attacchi di panico sono eventi terrificanti che possono condizionare la nostra vita in molti modi, fino ad arrivare a diventare un vero e proprio disturbo. Cosa bisogna sapere su di loro? Cosa possiamo fare per affrontarli e superarli?

attacchi di panico

È una serata come tante e sei seduta comodamente sul divano di casa, lo sguardo rivolto alla tv ma la mente attorcigliata tra mille pensieri sulla tremenda giornata che ti aspetta domani. All’improvviso senti come un formicolio alle mani, che iniziano a tremare e a sudare.

Quella sensazione la senti poi salire anche alle braccia (qualcosa ti dice che è soprattutto il braccio sinistro a essere “strano”) e poco dopo senti il cuore che inizia a correre così forte che ti sembra persino di sentirlo battere nel petto. Senti che c’è qualcosa che non va, ti sembra di non essere realmente lì, la testa sembra essere piena d’aria e in quel momento tutto sembra congelarsi. Che sta succedendo? Avresti voglia di alzarti in piedi e di urlare, ma vedi i bambini che giocano sul tappeto davanti a te e non vuoi spaventarli. Allora cerchi di mantenere la calma, ma dentro di te una voce sembra dirti: “ci siamo, stai avendo un infarto”.

Ti alzi col massimo contegno che puoi importi, ovviamente per non far preoccupare i bambini, e raggiungi tuo marito nell’altra stanza. Il tuo corpo continua a tremare e senti distintamente il battito del cuore all’interno dell’orecchio, ma a fatica riesci a trovare le parole da dire: «Mi sento male, portami al pronto soccorso.»

I sintomi di un attacco di panico sono decisamente terrificanti e maledettamente reali

Sperimentare un attacco di panico è qualcosa di assolutamente terrificante. E non solo la prima volta che accade: ogni volta è un’esperienza tremenda. Innanzitutto perché gli attacchi di panico sembrano sempre comparire all’improvviso dal nulla e, non avendo a disposizione spiegazioni plausibili sui sintomi che si sperimentano, si finisce per spiegarsi quelle sensazioni come il segnale che qualcosa di tremendo sta succedendo al nostro corpo o alla nostra mente.

Un attacco di panico, infatti, si accompagna a una serie di sintomi fisici molto allarmanti e inquietanti: battito cardiaco accelerato, dolore al petto, tremori, respiro corto, sensazione di mancanza d’aria, sudorazione, nausea, intorpidimento e formicolio agli arti, capogiri e sensazione di stordimento.

E non solo. Possiamo persino sentirci come se in quel momento non fossimo più noi o come se tutto intorno a noi fosse strano e irreale, come se lo vedessimo dall’esterno. Insomma, se in quei momenti non stiamo temendo di morire, ad esempio per un attacco cardiaco, potremmo benissimo arrivare a pensare che stiamo diventando pazzi, di poter perdere il controllo di noi stessi e delle nostre azioni. E non è per nulla una bella sensazione.

…ma quello che si sperimenta, in realtà, è soltanto una reazione di allarme

I sintomi di un attacco di panico sono essenzialmente il risultato di una risposta di allarme del nostro organismo. In pratica, quando il nostro cervello etichetta un determinato evento come “minaccia”, attiva una serie di reazioni nel nostro corpo allo scopo di prepararci ad affrontare il pericolo, o combattendo o scappando (quella che viene definita reazione di “attacco o fuga”). Quindi i cambiamenti che avvertiamo nel nostro corpo durante un attacco di panico, come l’incremento del battito cardiaco, il respiro accelerato o l’aumento della sudorazione, derivano semplicemente dall’attivazione di questo sistema di allarme.

Ora, prova a immaginare: se durante un safari in Africa ti trovassi faccia a faccia con un leone, cosa proveresti? Cosa pensi accadrebbe al tuo corpo? Molto probabilmente arriveresti a percepire qualcosa di simile a un attacco di panico, ma la differenza è che lì di fronte a te hai un leone in carne e ossa, mentre adesso, sul divano di casa, non c’è alcun leone.

Quando sperimenti questa attivazione in assenza di un pericolo evidente, per poter dare un senso all’esperienza non ti resta che attribuire un significato a ciò che stai provando, come la manifestazione di un infarto improvviso, di uno shock anafilattico, di un imminente svenimento o altro ancora. E che succede se pensi che stai per avere un infarto? Esatto: il cervello percepisce quella possibilità come una minaccia e continua a promuovere la risposta di attacco o fuga, proprio quella responsabile dei sintomi che si sperimentano. In poche parole, ancora più panico.

Gli attacchi di panico sembrano venire dal nulla, ma in realtà non è proprio così

Uno degli aspetti più terrorizzanti degli attacchi di panico è il loro apparire in maniera improvvisa, quasi come se non ci fosse un motivo o una causa che può averli determinati. In alcuni casi si riesce a individuare con facilità quale può essere stato il motivo di un’ansia così intensa, come quando ci troviamo davanti a una situazione particolarmente destabilizzante, come il trovarsi coinvolti in un grave incidente stradale o il perdere il posto di lavoro. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non sembrerebbe esserci una causa chiara ed evidente.

In realtà c’è sempre un perché agli attacchi di panico, anche se non sempre è così palese da riuscire a vederla con facilità. Spesso gli attacchi di panico si presentano in periodi in cui siamo sottoposti a forti stress, o quando ci troviamo a dover affrontare dei cambiamenti significativi nella nostra vita, ma non è detto che non si possano verificare anche molto tempo dopo aver superato questi momenti difficili. Quindi cos’è realmente che attiva questa risposta di allarme?

Molto spesso, lo stimolo che può dare il via a una reazione di panico è qualcosa di molto sottile e difficile da percepire, come nel caso di un improvviso pensiero disturbante, un’immagine terrificante o l’interpretazione catastrofica di una sensazione fisica. Tanto basta per scatenare una reazione a catena che culminerà in un attacco di panico.

Quindi, anche quando sembra che un attacco di panico sia venuto dal nulla, può essere utile riflettere (da soli, ma anche con l’aiuto di un professionista) su cosa può averlo scatenato: “Cosa stavo facendo prima di avere l’attacco? Cosa ho pensato? Cosa mi è passato per la mente?”.

Come il panico può diventare un disturbo vero e proprio

Potenzialmente ciascuno di noi può avere un attacco di panico nel corso della propria vita. Ma sperimentare un singolo attacco di panico non significa necessariamente che ne seguiranno altri. Si, alcune persone possono in qualche modo essere “predisposte” a provare reazioni d’ansia anche molto intense e in diverse situazioni, ma è anche il modo in cui affrontiamo quel primo attacco di panico che può fare la differenza.

Alcune persone possono sperimentare uno o due attacchi di panico anche in brevi periodi di tempo e non spaventarsi più di tanto. Altri, invece, giù dal primo episodio possono arrivare a preoccuparsi molto per quanto è accaduto loro e sviluppare un’estrema paura di avere altri attacchi di panico. È assolutamente comprensibile preoccuparsi quando succede un qualcosa di spaventoso e apparentemente inspiegabile come un attacco di panico, ma se cominciamo a preoccuparci eccessivamente di riprovare quell’esperienza rischiamo, paradossalmente, di avere altri attacchi di panico.

L’attacco di panico in sé finisce per diventare un pericolo, e come reagisce il nostro cervello quando percepisce la presenza di un pericolo? Cosa succede al nostro organismo se, per qualche motivo, pensiamo che ciò che stiamo provando in questo momento potrebbe sfociare in un attacco di panico? Si crea così un circolo vizioso. Gli attacchi di panico cedono il posto alla paura di avere degli attacchi di panico. È la cosiddetta “paura della paura”.

Non solo, se abbiamo paura di un futuro attacco di panico, potremmo poter cercare di mettere in atto dei comportamenti che in qualche modo possano scongiurare la possibilità di avere altri attacchi di panico. Ad esempio, potremmo finire per evitare quelle situazioni nelle quali abbiamo sperimentato un attacco di panico. Il problema è che le cause non sono quasi mai esterne, e così ci illudiamo che basta evitare determinate situazioni per poterci sentire al sicuro. Ma non funziona così. Di solito, infatti, la lista dei posti da evitare finisce per allungarsi al punto da costringerci a chiuderci in casa pur di non sperimentare altri episodi. E così la paura aumenta ancora di più.

Quando siamo in presenza di numerosi e improvvisi attacchi di panico, assieme a una marcata e persistente paura di avere altri attacchi di panico o alla tendenza a mettere in atto una serie di comportamenti per cercare di evitarli, potremmo trovarci in presenza di un vero e proprio disturbo, il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP). In questi casi, è decisamente opportuno rivolgersi a uno psicoterapeuta.

attacchi di panico

Allora cosa fare quando si prova un attacco di panico?

Anche se sembra che non finiscano mai, gli attacchi di panico in realtà non durano a lungo. L’episodio in sé può durare al massimo una decina di minuti, mentre la spossatezza (fisica e mentale) e la paura che seguono all’attacco possono persistere per molto più tempo. È importante quindi tener presente che, qualunque cosa si stia provando, anche se decisamente spaventosa e apparentemente inspiegabile, è destinata a terminare entro pochi minuti. E questo semplicemente perché il nostro organismo non può sostenere per molto tempo questa risposta di allerta.

Ad ogni modo, quando ci si trova nel bel mezzo di un attacco di panico, ci sono alcune strategie che si possono mettere in atto e che potrebbero portare un po’ di beneficio:

  • Rassicurarsi. Lasciarsi andare a una catena di valutazioni e pensieri catastrofici prima, durante e dopo l’episodio di panico non è certamente d’aiuto. In quei momenti è più utile e ragionevole riconoscere che si tratta semplicemente di un attacco di panico e che, come per ogni cosa nella vita, anche questo è destinato a finire.
  • Distrarsi. Fin quando l’attenzione è totalmente centrata sui sintomi fisici c’è il rischio di amplificare ancora di più le sensazioni sgradevoli e, di conseguenza, di mantenere attivo lo stato di allarme. Prova quindi a portare la tua attenzione verso altri stimoli esterni.
  • Respirare. Calmando il ritmo respiratorio si può “disattivare” lo stato di allerta del nostro organismo e tornare a uno stato di maggiore calma. Puoi aiutarti facendo dei respiri lenti e profondi, inspirando con il naso ed espirando con la bocca. Continua a respirare in questo modo fin quando non ti senti più rilassato e disteso.

Queste semplici strategie possono essere d’aiuto in diversi casi, ma il consiglio più importante che posso darti è sicuramente quello di consultare un professionista. Innanzitutto per avere una diagnosi corretta, ma anche per capire quali sono le cause che ti portano a soffrire di attacchi di panico e, soprattutto, per poter sviluppare delle strategie efficaci per aiutarti a gestirli al meglio.

Se già soffri di attacchi di panico potresti pensare che è impossibile uscirne o che sia troppo difficile, ma la verità è che gli attacchi di panico si possono assolutamente affrontare e superare, sia che si tratti di singoli episodi sia che si tratti di un vero e proprio Disturbo da Attacchi di Panico.

Soffrire di attacchi di panico non può e non deve essere una condanna. Si può tornare a vivere la propria vita con maggiore serenità e senza farsi paralizzare dalla paura del prossimo attacco. Per farlo, non devi fare altro che chiedere aiuto.

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Dopo aver visto cosa succede durante gli attacchi di panico, questa volta esploriamo i meccanismi che non consentono alla persona di uscire dalla trappola del panico, i cosiddetti “fattori di mantenimento”

In un precedente articolo abbiamo visto cosa succede durante gli attacchi di panico, in particolare abbiamo esaminato il fenomeno del circolo vizioso del panico: una serie di eventi e manifestazioni fisiche e cognitive che si potenziano a vicenda e che comportano elevati livelli di ansia, fino ad arrivare all’attacco di panico vero e proprio.

Secondo il modello del circolo vizioso, gli attacchi di panico sono dunque il risultato di interpretazioni catastrofiche di eventi fisici o mentali che la persona valuta come segnali di pericolo. Una lettura di questo tipo innesca una serie di valutazioni concatenate che tendono a interpretare sensazioni più o meno insolite come segni evidenti di una catastrofe in atto. Sostanzialmente, un falso allarme con implicazioni molto reali: livelli di ansia alle stelle e notevole disagio.

Nella “puntata precedente” abbiamo osservato cosa succede nel corso di un attacco di panico concentrandoci in particolare sugli effetti dell’interpretazione errata dei segni fisici e cognitivi all’inizio e durante un attacco di panico, lasciando però alcune domande aperte. Con questo post cercheremo di rispondere ad almeno due di queste, in particolare:

  • Perché la persona ha continuato a manifestare attacchi di panico anche dopo? O meglio: perché ogni volta si attiva il circolo vizioso?
  • C’è qualcosa che la persona fa o non fa che la rende più vulnerabile agli attacchi di panico?

Fattori di mantenimento del panico

Il circolo vizioso è solo una parte di ciò che accade durante un attacco di panico. A dirla tutta, quello che nell’articolo precedente è stato presentato come “il circolo vizioso del panico” è solo la punta dell’iceberg dell’intero processo alla base degli attacchi di panico. Gli elementi che abbiamo considerato – i sintomi fisici e cognitivi, le emozioni e le interpretazioni, forniscono una spiegazione di come si arriva ad una manifestazione molto elevata di ansia, cioè al panico. Ma non è l’unico meccanismo che può spiegare la complessità del fenomeno.

Altri elementi importanti da considerare sono i cosiddetti fattori di mantenimento, così chiamati perché sono responsabili del mantenimento del problema. In questo caso stiamo parlando del panico, ma in realtà questi fattori sono essenziali nella comprensione di qualunque tipologia di problematica psicologica. In sostanza, i fattori di mantenimento sono la risposta alla domanda: “perché continuo a fare così?”.

Sulla scia del modello di Clark del circolo vizioso, ecco i principali meccanismi psicologici responsabili del mantenimento della sindrome da panico:

  • Attenzione selettiva
  • Comportamenti protettivi
  • Evitamento

È bene ricordare che esistono ovviamente altri fattori, assolutamente personali e unici, che non consentono alla persona di uscire dalla “trappola” del panico. Questi tre meccanismi, tuttavia, sono rintracciabili in tutti coloro che soffrono di attacchi di panico e fungono da base per la comprensione del ciclo di mantenimento di questo particolare problema.

L’attenzione selettiva

In generale, nei disturbi d’ansia c’è sempre qualcosa che temiamo fortemente e che, in seguito a processi di tipo interpretativo, comporta un’attivazione psicofisiologica che viene poi da noi etichettata come “ansia”. Ora, ipotizzando di avere forte paura di una cosa, come ci comporteremmo nel momento in cui il nostro ambiente – esterno o interno – cambia? Molto semplicemente, ci mettiamo in guardia rispetto al pericolo e cerchiamo attivamente di individuarlo nel nuovo contesto. Perché se lo vediamo possiamo prendere provvedimenti efficaci per evitare le conseguenze temute.

L’attenzione selettiva, dunque, consiste nel prestare attenzione in maniera specifica (“selettiva”) ai segnali che tendiamo ad associare a un presunto pericolo. Nel caso del panico, l’attenzione selettiva è rivolta in gran parte ai fenomeni fisici che avvengono nel nostro corpo. Quando la nostra amica Chiara sa di dover uscire, automaticamente comincia a portare la sua attenzione in maniera selettiva sulle sensazioni corporee, focalizzandosi quasi esclusivamente sul proprio corpo (ma non solo: i pensieri catastrofici relativi a cosa potrà accadere nella situazione temuta sono sempre dietro l’angolo).

Cosa succede nel momento in cui l’attenzione è posta esclusivamente su un oggetto? Oltre a non riuscire a vedere nient’altro, accade anche un’altra cosa: si abbassa la soglia di percezione di ciò che si sta osservando. In altre parole, diventa molto più facile individuare le sensazioni che si stanno ricercando. E non solo, tende anche ad aumentare l’intensità di queste sensazioni. In sostanza: le notiamo prima e ci sembrano anche più forti, proprio perché le si stanno attivamente cercando. Il paradosso è che si tratta delle stesse sensazioni che tendiamo a interpretare come segni di una catastrofe in atto.

Questo meccanismo, dunque, comporta automaticamente una predisposizione al verificarsi del circolo vizioso del panico. Ecco perché è così facile “ricascarci” ogni volta. Insomma, come si suol dire: “chi cerca …trova!”

I comportamenti protettivi

Cosa fa Chiara quando ha un attacco di panico? O meglio, cosa fa per proteggersi dal pericolo imminente? In una situazione di panico, Chiara teme che possa avere un attacco cardiaco, e poiché non vuole assolutamente che ciò accada (e come darle torto?), mette in atto delle strategie che ritiene possano aiutarla a tornare a un battito cardiaco “normale”.

Innanzitutto smette di fare qualunque cosa stia facendo, cerca di sedersi e di respirare profondamente per cercare di rilassarsi. Apparentemente sembrano comportamenti innocui e non si andrebbe mai a pensare che possano in realtà contribuire a mantenere il suo problema. Ma in realtà è proprio questo che fanno: non permettono a Chiara di uscire dal circolo vizioso.

Infatti, i cosiddetti comportamenti protettivi, ovvero quei comportamenti che la persona mette in atto per evitare le conseguenze temute del panico, sono in realtà controproducenti, e questo per due ragioni in particolare. La prima è che impediscono alla persona di “disconfermare” le interpretazioni errate, la seconda è che possono addirittura intensificare la sintomatologia fisica.

Impediscono la disconferma per un motivo molto semplice: quando funzionano, diventano la (falsa) prova che l’effetto negativo temuto non c’è stato solo perché si sono messi in atto dei comportamenti per evitarlo. Vale a dire: “l’attacco cardiaco non è avvenuto perché sono riuscita a calmare il cuore”. Così, però, Chiara non saprà mai che in realtà l’attacco cardiaco comunque non si sarebbe verificato (perché nel suo caso non c’è alcun rischio concreto in tal senso), col risultato che ogni volta dovrà ripetere lo stesso “rituale” comportamentale per scongiurare il pericolo. E non è detto che le andrà sempre bene.

L’altro inconveniente dei comportamenti protettivi, infatti, è che in alcuni casi possono persino peggiorare la situazione. Prendiamo, ad esempio, il respirare profondamente per “calmarsi”: cercare di controllare il proprio respiro può portare all’emersione di sintomi fisici legati all’iperventilazione che possono costituire la base per ulteriori interpretazioni catastrofiche relative al manifestarsi o all’intensificarsi di sensazioni sgradevoli. Dalla padella alla brace: i sintomi si intensificano, il circolo riacquisisce vigore e l’ansia urla ancora più forte.

L’evitamento

Come abbiamo visto, la messa in atto di comportamenti protettivi può impedire la disconferma diretta della pericolosità di un certo evento. In altre parole, ciò che ci aiuta in quella situazione ci nasconde una verità fondamentale: ciò che temiamo in realtà non può avvenire.

La manovra più evidente di disconferma delle conseguenze temute è l’evitamento, cioè l’evitare di infilarsi in quelle situazioni che noi associamo al panico. Nel caso di Chiara, evitare i luoghi in cui ha sperimentato gli attacchi di panico. Il funzionamento è tanto semplice quanto letale: se ho paura di una cosa, la evito.

A prima vista sembra una buona soluzione, e per di più perfettamente logica: perché mai dovrei espormi a una situazione che temo? La evito e non sperimento più quella brutta cosa chiamata ansia! All’inizio è una modalità che sembra funzionare molto bene, perché ci consente di stare alla larga dal panico, ma l’ansia è subdola, e non si accontenta di una sola situazione…

Se siamo rimasti scottati da un episodio ne avremo comunque paura. Dentro di noi, l’esperienza drammatica del panico resta viva, anche se, come nel caso di Chiara, non dovessimo più andare al centro commerciale. Col tempo, però, potremmo iniziare ad avvertire quegli stessi sintomi fisici o mentali anche in situazioni differenti, e questo ci porta pian piano ad evitare anche queste nuove situazioni. A lungo andare, sempre più contesti risulteranno “contaminati” dall’ansia, e sempre di più saranno i luoghi da evitare. Fin quando non si arriva al punto, drammatico, di non poter più uscire di casa. Perché nessun luogo è sicuro.

L’evitamento, così come la fuga, cioè la controparte comportamentale che si manifesta durante un attacco di panico, a breve termine ci preservano dal provare ansia, ma a medio-lungo termine ci intrappolano sempre di più. Evitare una situazione (interna o esterna) o scappare da essa, non ci consente, in sostanza, di comprendere che l’ansia è solo un’emozione, che non comporta alcuna catastrofe. Così facendo, contribuiamo a tenere in vita lo spauracchio del panico, sviluppando una sempre più forte “paura della paura”.

attacchi di panico

Uscire dal labirinto

Gli attacchi di panico non dipendono soltanto dal meccanismo del circolo vizioso, che comunque resta fondamentale per capire perché si arriva a sperimentare livelli così elevati di ansia. I fattori di mantenimento sono un altro tassello indispensabile per comprendere gli attacchi di panico, e in questo articolo abbiamo visto come questi elementi contribuiscono a strutturare questo problema.

Come sempre, ritengo necessario specificare che lo scopo di questo post non è presentare una ricetta che funzioni per tutti, semplicemente perché questo non è possibile. Ciascuno di noi è diverso, e non esiste un disturbo di panico uguale all’altro, anche se degli elementi in comune si possono sempre individuare. È preferibile dunque parlare di “modello” del panico, inteso come modalità generale di funzionamento.

A partire da questo modello, però, c’è sempre la possibilità di comprendere in dettaglio le proprie personali manifestazioni del panico. E una volta comprese, è possibile poterle poi affrontare in maniera efficace, smontando, uno ad uno, tutti i meccanismi che ci tengono intrappolati all’incubo del panico.

Farlo da soli però non è facile, e per riuscire davvero a sconfiggere il panico spesso c’è bisogno dell’aiuto di un professionista. Perché, come successe a Dedalo, il più famoso progettista di labirinti, non è detto che chi si è costruito una prigione sappia poi come evaderne.

Per questo, se hai voglia di parlare con me rispetto a questo o a un altro problema, ricorda che io ci sono. E ricorda che l’ansia, in tutte le sue forme, si può sempre superare.

 

Cosa ne pensi dei fattori che “tengono in vita” gli attacchi di panico? Avevi mai pensato a come dei comportamenti che in apparenza sembrano aiutarci in realtà finiscono per intrappolarci sempre di più? Se hai domande, dubbi o curiosità lascia pure un commento, non vedo l’ora di parlarne con te!

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Avere un attacco di panico è un’esperienza estremamente spiacevole, che spesso lascia spaventati e confusi. Ma in realtà cosa sono gli attacchi di panico? Cosa succede realmente durante un attacco?

attacchi di panico

Chiara ha 26 anni e una vita praticamente normale: un lavoro, un fidanzato, un cane, cose così. Un giorno era al centro commerciale, stava passeggiando con un’amica, quando a un certo punto si è sentita un po’ “strana”. Si è accorta di avere il battito cardiaco molto accelerato, ha iniziato a sentire che le mancava l’aria, di colpo si è sentita inerme e senza forze e si è aggrappata con forza alla sua amica: «Aiutami! Sto per avere un infarto!». Spaventata, l’amica la fa sedere su una panchina e chiede aiuto a dei passanti. Dopo circa una mezz’ora, arriva un’ambulanza e il medico di turno procede con i suoi accertamenti. Fortunatamente, Chiara non ha nulla.

Ancora scossa ed esausta, la ragazza si fa accompagnare a casa. Si è presa un bello spavento, per fortuna non è stato niente di grave. Ma allora cosa è stato? «Probabilmente lo stress», la rassicurano tutti.

Da quel giorno, Chiara ha iniziato ad avere paura di andare al centro commerciale da sola. Se proprio non poteva evitare di andare, si faceva accompagnare da qualcuno. Col tempo, però, la paura di avere un altro “attacco di cuore” si è ingigantita, complici altri episodi simili che si sono verificati in altre situazioni. Così, adesso, Chiara preferisce uscire il meno possibile. È terrorizzata dall’idea di ritrovarsi in quello stato di puro terrore, dove sembra non ci sia più nulla da fare, ma che alla fine si rivela essere niente di serio.

Se sta a casa si sente più sicura, a patto che ci sia sempre qualcuno con lei. Lavorare è diventato molto difficile: al solo pensiero di fare il tragitto da casa all’ufficio comincia ad agitarsi e più di una volta le è capitato di darsi malata. Quando va, lo fa solo se accompagnata dal fidanzato, che nel frattempo vive con molto disagio l’intera situazione, anche perché non riesce proprio a capire di cosa diavolo abbia paura la sua Chiara.

A dire la verità, non riesce a capirlo neanche lei. Gli esami medici dicono che il cuore è perfetto. Allora perché queste sensazioni improvvise? Perché questa paura di avere un infarto? «Perché non può essere tutto com’era prima?»

Cos’è un attacco di panico?

Senza entrare in tecnicismi, analisi etimologiche o nello specifico dei criteri diagnostici, possiamo dire che un attacco di panico è semplicemente una manifestazione estrema e improvvisa di ansia.

La caratteristica forse più peculiare di questa problematica ansiosa è la presenza di sintomi fisici e cognitivi di vario tipo che si manifestano durante un attacco: palpitazioni, sudorazione, sensazione di soffocamento, mancanza d’aria, tremori, capogiri, paura di morire, di perdere il contatto con la realtà, di perdere il controllo…

Un attacco di panico può essere un evento isolato o rappresentare il peggioramento di un episodio di ansia già in atto. Può inoltre verificarsi in situazioni specifiche o in maniera più “spontanea”, e può associarsi o meno con l’agorafobia, cioè con l’evitamento di certi luoghi o situazioni dalle quali sarebbe difficile o imbarazzante scappare o in cui non ci sarebbe nessuno disponibile ad aiutare nel caso di un altro attacco.

Conseguenze del panico

Per metterla in termini semplici, avere un attacco di panico è semplicemente orrendo. È un’esperienza davvero angosciante, che lascia spaventati, distrutti e con una fortissima sensazione di impotenza. Per quanto sia un evento indubbiamente molto brutto, non tutti però sviluppano un “disturbo di panico” vero e proprio. Qualcuno è in grado di registrare il singolo episodio come una specie di “anomalia” e andare avanti per la propria vita senza dargli peso più del necessario.

Per altri, però, non è così. Il primo episodio di panico può rappresentare l’inizio di un percorso di angoscia e disperazione. Si inizia a provare molta paura di averne un altro, e prima o poi potrebbe davvero arrivarne un secondo. La paura aumenta, si iniziano ad associare le sensazioni provate alle situazioni nelle quali si sono verificati gli attacchi e, poco alla volta, si inizia ad evitare quelle stesse circostanze per paura di avere un altro episodio. Ma il problema non è la situazione, è la paura. Nei casi peggiori, infatti, anche evitando totalmente un particolare luogo o evento, non è detto che un attacco non possa verificarsi in altre situazioni fino a quel momento considerate “neutre”. Provate a immaginare cosa questo possa significare per una persona che soffre di attacchi di panico: nessun luogo è sicuro.

Anche se non si dovesse arrivare a un livello di evitamento così importante, la paura di avere un attacco di panico può comunque avere costi altissimi: perenne tensione, bassa autostima, umore depresso, imbarazzo, difficoltà nella vita sociale e nelle relazioni in generale, sensazioni di impotenza, perdita della speranza e così via.

Sullo sfondo, alla persona che soffre di attacchi di panico, restano sempre degli interrogativi: «perché queste sensazioni? Cosa succede al mio corpo? Se non è vero che soffro di cuore, perché queste improvvise accelerazioni del battito? Perché i dottori continuano a dirmi che non ho nulla, se quello che provo è più che reale?»

Prendiamo Chiara, ad esempio. Dopo la visita del medico dell’ambulanza, che ha dato esito negativo, si è sentita rassicurata dalla mancanza di un problema cardiaco. Dopo gli altri episodi, però, il dubbio le è tornato: «forse c’è qualcosa che non va e che il medico non è riuscito a vedere». Così, decide di farsi visitare da uno specialista, ma il risultato (per fortuna) è sempre lo stesso: il cuore di Chiara non ha nulla che non va. Se il problema non è il cuore, di cosa si tratta allora?

Il circolo vizioso del panico

Molto semplicemente (si fa per dire), il problema è nell’interpretazione del sintomo fisico.

Per fare un esempio decisamente banale, ti è mai capito di alzarti all’improvviso dopo essere stato disteso per un po’ di tempo e di sentire la testa “girare”, come se stessi per perdere i sensi? In questo caso la spiegazione è semplice: ti sei alzato di fretta e i cambiamenti conseguenti a livello di pressione sanguigna hanno causato la sensazione della testa che “gira”. Già, ma che c’entra questo con Chiara e il presunto attacco di cuore? Stava semplicemente camminando con un’amica, come può questo causare un aumento del battito cardiaco?

Uno dei modelli maggiormente studiati per la comprensione degli attacchi di panico è il cosiddetto “modello del circolo vizioso” di David M. Clark, un esperto studioso dell’Università di Oxford. Il presupposto principale del modello di Clark è che gli attacchi di panico sono il risultato di interpretazioni di carattere catastrofico di eventi fisici o mentali, che vengono erroneamente considerati come dei segni di un pericolo imminente, come un attacco di cuore, un collasso o un soffocamento improvviso.

Secondo tale modello, le sensazioni che vengono “malinterpretate” sono soprattutto quelle associate ad ansia, anche se, in alcuni casi, potrebbero dipendere anche da fattori fisiologici (come nell’esempio di sopra sull’alzarsi all’improvviso). Ad ogni modo, molte normali sensazioni fisiche o cambiamenti fisiologici possono essere oggetto di un’errata interpretazione.

Perché si parla di circolo vizioso? Perché l’attacco di panico è solo il culmine di una sequenza di sensazioni, pensieri ed emozioni che si rinforzano a vicenda provocando un’ansia sempre più forte fino ad arrivare al panico vero e proprio.

Il circolo vizioso del panico è quindi composto da tre elementi di base: le reazioni emotive, le sensazioni corporee e i pensieri relativi alle sensazioni (cioè, l’interpretazione negative di quest’ultime). Questi fattori sono collegati tra loro e il circolo può iniziare da qualunque di questi, ciò che non cambia è come questi elementi si influenzano a vicenda.

Prendiamo l’esempio di Chiara. All’improvviso, mentre camminava, per qualche ragione la sua attenzione si è soffermata sul battito cardiaco. Chiara ha registrato questo fenomeno come anomalo e lo ha “interpretato” come segnale di qualcosa che non andava. Questo, comprensibilmente, l’ha spaventata. Quando una persona si spaventa, va in ansia. Quando una persona è in ansia succedono diverse cose a livello corporeo, tra le quali troviamo l’aumento del battito cardiaco. Quindi, in quella situazione, il cuore, che già sembrava mostrare qualche battito in più del solito, ha iniziato ad aumentare la frequenza dei battiti. Più i battiti aumentavano, più Chiara si convinceva di avere un problema al cuore. E questo come la faceva sentire? In ansia, ovviamente. E cosa succede quando si va in ansia?

Si prosegue per il circolo, fino a quando l’ansia raggiunge livelli così elevati da diventare qualcosa di più: panico puro.

circolo vizioso del panico

Modello del circolo vizioso del panico

 

Oltre il circolo

Ovviamente, il circolo vizioso del panico è solo un singolo elemento che può contribuire alla comprensione del “disturbo di panico”. Molti altri fattori vanno tenuti in considerazione per comprendere a pieno perché una certa persona arriva a sviluppare una problematica di questo tipo. Ad esempio:

  • è possibile che Chiara fosse già in uno stato d’ansia in quella situazione? Se si, perché?
  • perché Chiara ha continuato ad avere attacchi di panico anche dopo?
  • c’era qualcosa che Chiara faceva (o non faceva) che l’ha resa più vulnerabile ad altri attacchi?

Il modello del circolo vizioso del panico è una rappresentazione generale di cosa succede durante un episodio di panico, ma, ovviamente, la cosa non è così semplice. Non basta dare un senso a un certo avvenimento per comprendere a pieno una determinata problematica e risolverla, anche se certamente una spiegazione a questi fenomeni fa di solito un gran bene a chi ne soffre.

Bisogna considerare, infatti, che se si è verificato un episodio di panico (e soprattutto se non si è riusciti a “superarlo”), è perché alla base c’è qualcosa che l’ha “provocato”. E questo qualcosa è assolutamente personale, non è possibile applicare una ricetta unica per tutti né esaurire l’argomento con un singolo post. È proprio per questo motivo che se si soffre di attacchi di panico è importante rivolgersi a qualcuno che possa far luce sui motivi che hanno portato a soffrirne (ed evitare di soffrirne in futuro!).

La buona notizia, però, è che il disturbo di panico si può superare. Tornare a una vita piena, senza limitazioni o paure paralizzanti, non è utopia: è il risultato che molte persone hanno raggiunto con il supporto della psicoterapia e grazie al loro impegno e alla loro determinazione.

«Perché non può essere tutto com’era prima?»

 

Cosa ne pensi degli attacchi di panico? Hai delle domande da fare, vuoi saperne di più? Ne hai mai avuto uno, com’è stato? Se ti va di raccontare la tua esperienza lascia pure un commento, sarei felice di sentire la tua storia!

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