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Triste o depresso? Al giorno d’oggi i due termini sono usati come sinonimi, ma si tratta di due condizioni profondamente diverse. Conoscere la differenza tra le due e capire quando è necessario chiedere aiuto è il primo passo per riuscire a superare una grave malattia come la depressione.

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Ciascuno di noi, nel corso della nostro travagliata vita, sperimenta prima o poi dei sentimenti di forte tristezza. Che sia a causa di un lutto, di un periodo di intensa difficoltà, di una delusione o anche solo una percezione di solitudine, è assolutamente normale sperimentare tristezza. Come le altre emozioni, fa parte del nostro essere umani.

Per qualcuno però non si parla di semplice tristezza: quando il tempo non sembra aiutare, quando il dolore sembra essere assolutamente insopportabile, quando tutto è stancante, difficile e confuso, quando diventa faticoso anche solo alzarsi dal letto la mattina, potremmo essere di fronte a qualcosa di molto più serio e pericoloso della “tipica” tristezza. Potremmo ritrovarci a soffrire di depressione.

Ma come distinguere quando siamo di fronte a una normale tristezza da quando ci troviamo ad annaspare nello scuro oceano della depressione? Qui di seguito una lista di 7 importanti differenze tra tristezza e depressione, nella speranza di fare un po’ di luce tra ciò che si nasconde dietro questi due termini.

1. Perdita di interesse ed energia nelle attività

Quando si è tristi, generalmente non si perde interesse per le attività che di solito ci piace fare. Quando ci dedichiamo a queste attività, come il guardare una serie tv o leggere un libro, riusciamo in qualche modo a “distrarci”uando uan

e il nostro umore tende a migliorare, anche solo temporaneamente. Anche una chiamata da un amico, un aperitivo al bar o una passeggiata in compagnia spesso possono essere di aiuto per superare la tristezza del periodo, e col tempo si riuscirà a tornare nella condizione di trarre nuovamente piacere dalle cose che ci piacciono.

Con la depressione le cose non stanno così. In questi casi si parla di anedonia, ovvero la completa perdita di interesse verso attività che una volta venivano considerate piacevoli e l’apparente impossibilità a provare sentimenti piacevoli da queste. Si tratta di un segnale molto importante, da non sottovalutare: se provi difficoltà a dedicarti e a trarre piacere da attività che per te sono sempre state “piacevoli” è importante che cerchi un aiuto professionale.

Un’altra caratteristica simile della depressione è la cosiddetta abulia, ovvero la sensazione di non avere né energie né volontà di svolgere una qualsiasi attività, anche i normali impegni quotidiani. Invece quando una persona sta vivendo un periodo di “normale” tristezza, solitamente riesce, anche se a volta con più fatica del solito e con minor entusiasmo, a svolgere le proprie attività e ad andare incontro alle proprie responsabilità. Insomma, continua a “funzionare”.

2. Assenza di cause definite

Un’altra importante ma più sfumata differenza tra la tristezza e la depressione è rappresentata dalle cause di un umore basso. Solitamente, la tristezza è conseguenza più o meno diretta di qualcosa (o di più cose) che ci sono successe: può essere la fine di una storia d’amore, la perdita di una persona cara, un importante cambio di vita, una serie di frustrazioni a lavoro, e così via.

Per chi soffre di depressione, invece, tutto appare meno chiaro e diventa difficile individuare una o più cause specifiche che possano giustificare un così forte abbassamento dell’umore. Nella depressione ogni evento viene sperimentato e interpretato secondo una complessa interazione di pensieri, emozioni e comportamenti che potrebbe potenzialmente renderlo “causa” di una forte tristezza, quindi spesso non è facile individuare uno specifico trigger che ha innescato un abbassamento dell’umore.

In parole povere: tutto e niente possono essere causa di depressione, e se si fatica a trovare una causa specifica può essere un indizio di una condizione di vera e propria depressione. Quando una persona è semplicemente triste, sa perché lo è. Chi è depresso, invece, sa solo di stare male.

3. Difficoltà di concentrazione, di attenzione e di pensiero

Quando si prova una forte tristezza diventa difficile riuscire a concentrarsi e a portare la propria attenzione dove vorremmo dirigerla. Spesso questo succede perché si ha la mente “ingombrata” da preoccupazioni e pensieri relativi a cosa ci è successo che ci ha portato a sperimentare questa tristezza (cioè alle “cause” di cui abbiamo parlato sopra). Si tratta comunque di un effetto temporaneo: con il passare delle ore e dei giorni, la nostra mente tende a “sgomberare” questi pensieri e le nostre energie mentali possono nuovamente dirigersi verso le altre funzioni cognitive come l’attenzione, la memoria e la concentrazione.

Nella depressione, invece, l’effetto dell’intricata rete di pensieri, emozioni e comportamenti che la caratterizzano ha un’influenza decisamente più significativa. Ogni cosa diventa più difficile, e persino un compito relativamente semplicemente come leggere poche frasi o svolgere una semplice addizione può diventare praticamente impossibile. Diventa difficile dirigere la propria attenzione, ragionare con fluidità o anche prendere decisioni che normalmente non comportano alcuna difficoltà.

I pensieri di una persona che soffre di depressione risultano spesso impoveriti, ripetitivi, confusi. Tutto diventa faticoso, ogni cosa sembra rallentata, e questo si riflette anche a livello fisico, con la presenza di un forte senso di stanchezza, perdita di energie e rallentamento nei movimenti.

4. Sentimenti di scarso valore, autocritica e perdita di speranza

A seconda del perché ci sentiamo tristi possiamo provare sentimenti di colpa, di inadeguatezza, una percezione di scarso valore o anche una temporanea perdita di speranza per il nostro futuro. Questi pensieri e sentimenti, tuttavia, possono venire facilmente mitigati dal supporto e dalle parole positive di chi ci sta intorno: familiari e amici spesso ci consentono di guardare alle cose da una prospettiva più benevola e rassicurante, e questo infatti ci aiuta a spazzar via i pensieri negativi che si accompagnano a una “normale” tristezza.

Purtroppo questo non vale per chi soffre di depressione. La percezione di non avere uno scopo nella vita, il mancato riconoscimento del proprio valore, la presenza di forti sensi di colpa e di pensieri autopunitivi, la costante e feroce critica verso sé stessi, insieme a una significativa perdita di speranza nella possibilità di essere aiutati e nei confronti di un futuro a tinte fosche: questi elementi sono talmente intensi e pervasivi che difficilmente possono venire intaccati dalle parole di chi ci vuole bene.

Anche qui, dunque, la differenza più evidente tra la depressione e una “semplice” tristezza sembra risiedere nel carattere transitorio e meno intenso dei pensieri negativi di quest’ultima condizione.

5. Pensieri suicidari

Quando una persona sperimenta pensieri legati al suicidio, soprattutto se ricorrenti, e prova un forte desiderio di non voler più vivere, siamo già oltre la tristezza. Questi pensieri spesso sono il risultato finale di una spirale negativa che parte proprio dai sentimenti di scarso valore e perdita di speranza di cui abbiamo parlato sopra.

Chi sperimenta normalmente una condizione di tristezza semplicemente non arriva ad avere intenti suicidari. La presenza di questi pensieri sono quindi un chiarissimo segnale che siamo di fronte a una depressione. Ed è un segnale che non va assolutamente sottovalutato.

Quindi se vi trovate a sperimentare questo tipo di pensieri, o vi accorgete che qualcuno a voi vicino manifesta questo tipo di intenzioni, vi prego di parlarne con qualcuno di fidato e di cercare immediatamente aiuto. Riconoscere di avere bisogno di aiuto non è segno di debolezza, ma un atto di grande forza e coraggio.

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6. Disturbi del sonno

Quando siamo tristi è normale aspettarsi qualche difficoltà legata al sonno. I pensieri che ci frullano per la testa possono tenerci svegli la notte e rendere difficile l’addormentarsi. Ci sta perdere qualche notte di sonno ogni tanto, non è nulla di grave. Quando finirà la perturbazione emotiva, così come l’infelicità e la tristezza diminuiranno e la mente tenderà a sgombrare i pensieri negativi, anche le nostre routine legate al sonno si ristabiliranno normalmente.

Con la depressione il sonno risulta altamente disturbato: si osservano spesso lunghi periodi di insonnia, difficoltà di addormentamento e risvegli precoci. Quando queste difficoltà persistono per molto tempo, l’effetto sul fisico può essere molto intenso: stanchezza persistente, dolori muscolari, mal di testa sono conseguenze piuttosto tipiche. Quando poi la persona che soffre di depressione ha già forti difficoltà nell’intraprendere anche le attività più semplici o sembra mancare di energia anche solo alzarsi dal letto, si attiva un circolo vizioso di stanchezza, inattività e mancanza di riposo che rende tutto ancora più complicato. E ancora più difficile uscirne.

Insomma: se sperimentiamo importanti problematiche legate al sonno e per lunghi periodi di tempo, potremmo trovarci davanti a qualcosa di più di una “semplice” tristezza.

7. Perdita di appetito e cambiamenti del peso corporeo

A diverse persona capita di sentirsi “lo stomaco chiuso” quando si attraversa un periodo di tristezza, mentre altri ancora si attaccano al cosiddetto “comfort food”. Insomma, l’abbassamento di umore può avere degli effetti significativi anche sui livelli di appetito e sulle routine alimentari, e nelle persone maggiormente predisposte può tradursi anche in un cambiamento del peso. Ad ogni modo, il tipico decorso transitorio di un singolo episodio di tristezza porta solitamente a un ritorno del normale regime alimentare e di attività fisica.

Nella depressione questo periodo di sregolatezza alimentare può persistere per molto più tempo e, come per il sonno, gli effetti sul corpo possono essere più evidenti e addirittura potenziare gli altri sintomi della depressione, ad esempio per quanto riguarda i livelli di energia e l’alterazione di importanti funzioni corporee.

Sperimentare importanti cambiamenti di peso, la forte diminuzione o la completa perdita dell’appetito sono campanelli d’allarme molto importanti che suggeriscono la possibile presenza di una depressione.

In conclusione

Tristezza e depressione sono termini che nel linguaggio comune sono utilizzati in maniera intercambiabile. Fin quando ci si sofferma sulle parole non c’è alcun problema, ma quando si sperimentano sentimenti di infelicità, disperazione e solitudine è invece molto importante capire la differenza che passa da una normale, transitoria (e a volte salutare) esperienza di tristezza e una condizione grave, persistente e decisamente pericolosa come quella della depressione.

Se ti rivedi tra i sintomi elencati sopra, il mio consiglio è di cercare immediatamente un supporto. Parlane con chi ti sta vicino e rivolgiti a un professionista. Dalla depressione si può uscire, ma il primo passo è chiedere aiuto.

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Ci sono giorni dove tutto è tenebra, mentre altri sembrano fatti di pura luce. Ciò che è diverso, in realtà, è la prospettiva dalla quale li osserviamo, il modo in cui guardiamo a noi stessi e alle cose. A volta basta una piccola deviazione dal percorso e il coraggio di voltare pagina per accorgersene. Per scoprire che in fondo non esistono due giorni uguali. Perché ogni cosa cambia, persino noi stessi.

rinascita

Ieri

Fuori è ancora buio. L’unica luce è lo schermo della sveglia, che segna le 4 e 29. Non ricordo di essermi addormentata, né ricordo quando può essere successo. Sicuramente era passata la mezzanotte, anche se ero a letto da molto prima.

È presto, troppo presto. Ma so già che non potrò più chiudere gli occhi, almeno per un po’. Sono settimane che va avanti così: una manciata di ore a notte prima di un’altra giornata a lavoro, desiderando nient’altro che un po’ di pace. Un po’ di silenzio, un meritato e lungo riposo.

Lui sta dormendo dall’altra parte del letto. Sembra avere un sorriso stampato in faccia anche quando dorme. Mi chiedo come faccia, cosa trovi di bello da sorridere. Per quel che mi riguarda, è molto che non rido.

L’altro giorno è venuta a trovarmi mia sorella assieme al mio nipotino. Quanto vorrei essere come lui: spensierato, entusiasta, leggero. Io di leggero ho solo il sonno. Mi viene spesso in mente cosa mi disse mia sorella quel giorno: «Vale, tesoro mio, non ce la faccio a vederti così. Cos’hai? Cosa ti è successo? Cosa c’è che non va?». Secondo lei ho tutto per essere felice, e nessun motivo per non esserlo.

Già, sulla carta sono d’accordo con lei. Ma quel senso di apatia, quella mancanza di energie anche solo per forzare un sorriso, non è un qualcosa che scelgo di avere. È così e basta. Quando poi mio nipote mi ha chiesto di giocare con lui sono riuscita appena ad annuire. Mi sono seduta sul pavimento assieme a lui, ma in realtà l’ho lasciato giocare da solo, mentre io guardavo quei pupazzetti che aveva in mano e mi sentivo esattamente come loro: fredda e inanimata.

Sono stanca, molto stanca. Non me la sento di andare a lavoro oggi. Ad essere onesti non mi va nemmeno di farmi una doccia, di mangiare, di vestirmi, di sistemare il letto. In realtà non ho voglia nemmeno di stare a letto, ma sempre meglio del pensiero di alzarmi.

Gli dirò che non mi sento bene, che resterò nel letto per riposare. Già lo vedo, con l’espressione di chi non ci crede neanche un po’. Ma che senso ha dirgli che ultimamente non riesco a fare altro che restare sotto le coperte, in posizione fetale, circondata da fazzoletti di carta per cercare di arginare le lacrime in piena? Un fiume che scende dai miei occhi gonfi ma senza provocare alcun lamento, quasi il riflesso di un corpo che soffre.

Non so nemmeno perché piango così tanto. Prima che si aprano i rubinetti sento solo un senso di oppressione al petto, che sembra così passare. Almeno per un po’.

Mi faccio schifo così. Sono sempre stata una donna attiva e solare, almeno così mi dicevano gli altri. Adesso sembro l’ombra di me stessa. L’inutile proiezione del mio corpo esposto alla luce. Basterebbe così poco per eliminare ogni dolore, ogni sensazione di inutilità. Basterebbe spegnere la luce.

Per il momento c’è solo quella della sveglia.

Oggi

Cerco dentro di me la forza per sollevarmi dal mio giaciglio, appoggiare i piedi a terra e sedermi sul bordo del letto. Non ho dormito molto, ma anche se l’avessi fatto per otto ore di fila comunque non mi sentirei riposata.

Mi sono svegliata qualche minuto prima della sveglia, ma non importa più di tanto. Ciò che conta è quel magone che anche oggi ho ritrovato poco dopo aver aperto gli occhi. E il silenzio di questa stanza, senza più il suo lieve russare. Senza più lui.

In queste ultime settimane ho capito una cosa importante. Sono io stessa a nutrire il mio dolore. Anzi, la mia depressione. Già, ho questa malattia. Me l’ha spiegato una persona importante, che mi ha aiutato a dare un nome a ciò che prima era innominabile.

È come se ogni mattina, mentre io restavo a digiuno, servivo una ricca colazione all’ombra di me stessa. Ogni volta che restavo nel letto, con gli occhi lividi a fissare il soffitto, era come servire cornetto e cappuccino alla parte di me che mi trascinava a fondo.

A proposito, mi sta venendo fame. Chi nutro oggi, me stessa o la mia ombra? È molto facile cedere alla tentazione di alzare bandiera bianca, ma ormai so bene quali sarebbero le conseguenze. Se non mi alzo dal letto, so che ci resterò tutto il giorno. E questo non posso permetterlo. So che posso alzarmi dal letto, anche se non mi sento di farlo. Basta appoggiare un piede a terra. Ecco, così.

Che fatica, però. Se penso alla giornata che mi attende quasi quasi mi rimetto giù. Ma non erano questi i patti con me stessa. Ok, prendo la mia agendina sul comodino. So bene cosa fare nei prossimi minuti, ma rileggerlo mi aiuta. Mi aiuta a ricordare che dopo “questo” c’è “quello”, ma soprattutto che a “quello” ci posso arrivare.

Sciaquarsi il viso. Bere un bicchiere d’acqua. Mettere su il caffè. Preparare la colazione (“anche se non ho fame”, ho aggiunto). Doccia. Vestirsi. Truccarsi. Uscire.

Mi è sempre piaciuto mangiare cucinare. Così abbiamo deciso che mi darò la “spinta” così. Nell’agendina c’è una piccola tabella in cui segno come è stato cucinare quel dato giorno. Cioè, quanta soddisfazione ho provato. Quando ho iniziato non pensavo nemmeno alla possibilità di poter provare un briciolo di piacere nel fare qualsiasi cosa, persino quelle che prima mi regalavano un’immensa gioia. Quei numerini che ogni giorno segno in agenda mi dimostrano il contrario. Poco alla volta, ho riscoperto quanto mi piace cucinare. Quanto bene mi fa sentire. Cucinare per me, non per l’ombra.

Dopo aver preparato la colazione di solito mi sento meglio. Giusto un po’, quel tanto che basta per avviare la giornata. Non è facile, non lo è per niente. Ma ho scoperto che alla fine basta poco, e quel poco so di poterlo fare.

Oggi pancakes. Con la Nutella. Alla faccia dell’ombra.

Domani

Uccellini. Strano, prima nemmeno li sentivo. Immagino siano sempre stati lì, ma forse non c’ho mai fatto caso. Anche se è inverno, anche se il sole sembra giocare a nascondino con le nuvole, loro cantano a prescindere.

«Buongiorno», mi dico. Un piccolo sorriso, solo per me. Mi alzo, senza fretta, sbadigliando pigramente. È abbastanza presto, ma c’è un po’ di luce. Vado in soggiorno, ma prima apro l’armadio per prendere il mio cuscino. Lo sistemo sul tappeto e mi ci siedo sopra, le gambe incrociate. Qualche momento per guardarmi attorno e sistemarmi comodamente. Un paio di bei respiri e lascio andare. Semplicemente, siedo con me stessa.

Fuori c’è silenzio, a parte lo sferragliare del camion per la raccolta dei rifiuti, mio fedele compagno di meditazione. Non mi disturba affatto. Anzi, mi aiuta a ricordare che lo scopo non è chiudersi in se stessi, ma aprirsi a ciò che c’è, così com’è.

Porto la mia attenzione al respiro. Sento l’aria che entra dalle narici, la immagino raggiungere ogni cellula del mio corpo, nutrendola di vita. L’aria esce, il corpo si rilassa. Il respiro è già finito, ma ecco che ne arriva un altro. È così che vanno le cose: tutto ha un inizio e una fine. Anche il dolore. Ho scoperto che anche quello, prima o poi, è destinato a sparire.

rinascita

Nei mesi scorsi ho passato molto tempo a osservarmi. E ho scoperto che quella tristezza, quella sofferenza che offuscava ogni momento della mia giornata non era altro che un artificio. Anche se il dolore era più che reale. Ma ero io a tenerlo in vita. Perché non ero abbastanza, perché non avevo ottenuto niente dalla vita, perché non era giusto che gli altri fossero felici e io no. Almeno così credevo.

Ho scoperto che la tristezza c’è, e che è giusto che ci sia. Perché nella vita ce ne sono molte di cose che possono rendere infelici. Ma l’indugiare nel dolore, il darsi addosso per partito preso, non fanno altro che alimentare quella tristezza. Mi sembrava che non ci fosse speranza per me, né oggi né domani, ma era l’ombra di me stessa a parlare, l’ombra lunga della mia depressione.

Poi un giorno ho deciso di fare un piccolo passo. E poi ne ho fatto un altro. E da allora ne ho fatta di strada. Ogni tanto mi sono fermata, esitando, ma anche quei momenti mi sono serviti per capire meglio la mia malattia.

Ogni tanto mi ritornano in mente alcune delle frasi che mi martellavano in testa, anche se all’epoca non riuscivo nemmeno a vederle. Anche oggi, nella pace e nel silenzio, mentre siedo assieme a me, ogni tanto riaffiorano. “Sei una stupida. Non vali niente. Nessuno può amarti. Che campi a fare?”.

Le noto, le osservo, le riconosco. Un altro respiro. Puff, non ci sono più. Anche loro, come il respiro, sono destinate a sparire.

Ancora qualche minuto, ho voglia di sentire ancora il mio corpo che respira. Oggi mi aspetta una dura giornata, ma non più del solito. E poi anche questa finirà. E poi stasera c’è Paolo.

Sento lo stomaco che borbotta. Cos’è questa sensazione? Fame?

Fortuna che ieri ho preparato in anticipo i muffin per la colazione.

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Da fuori non si vede, ma dentro è più che reale. Continuare ad andare avanti, giorno dopo giorno, ma sentirsi sempre stanchi e senza energie. È la “depressione ad alto funzionamento”: quando si è in grado di “funzionare” nella propria vita, ma non di essere felici.

depressione ad alto funzionamento

Ilaria si alza ogni mattina per andare a lavoro. Le cose da fare sono sempre tante, ma tutti sanno che Ilaria è una gran lavoratrice e non si lamenta mai. Il capo la loda sempre per l’impegno e la puntualità. Cerca sempre di mettere su un bel sorriso quando è necessario interagire con i suoi colleghi, ma spesso preferisce passare la pausa caffé alla sua scrivania. Spesso viene invitata a unirsi a loro per un aperitivo dopo il lavoro, ma ha sempre qualche scusa pronta e credibile per declinare l’invito.

Ogni giorno Ilaria torna a casa, stanchissima, mette degli abiti comodi e si toglie la maschera. Accende la TV, il canale non è importante, si raggomitola sul divano e si perde nelle vite degli altri. Ogni tanto arriva un messaggio su Whatsapp, spesso amiche che le chiedono di uscire, ma queste proposte si stanno diradando sempre più. Ilaria declina con gentilezza, e se qualcuno le chiede come va, la risposta è sempre: «Bene, grazie».

La serata passa così, con lo sguardo nel vuoto e la sensazione che le cose così proprio non vanno. Domani sarà un altro giorno, ma già pensa alla fatica che farà per alzarsi dopo l’ennesima notte passata a rigirarsi. Pensa alle mille piccole commissioni che dovrà fare al lavoro, e a quanta energia le richiedono. Energia che Ilaria sente di non avere più. Sa che dovrà indossare di nuovo la maschera, perché è importante che gli altri non si accorgano di quanto è triste e vuota la vita di Ilaria.

Depressione o non depressione?

Quando parliamo di depressione, potremmo immaginare una persona raggomitolata su sé stessa nel letto, nel buio della sua indicibile sofferenza. In effetti, è un’immagine molto appropriata per definire la “classica” depressione. Chi è depresso tende a isolarsi, a galleggiare in stati di estrema tristezza e manca di energie e di voglia per svolgere attività relativamente semplici, come alzarsi dal letto la mattina.

Ilaria però riesce ad alzarsi dal letto. E va a lavorare, ogni santo giorno. Anche se ogni piccolo compito è estenuante come scalare una montagna. Tende a evitare il contatto con gli altri, ma se è costretta a interagire riesce a farlo, anche se con gran fatica. Ma dentro di sé c’è un turbinio di pensieri che raccontano di come sia triste e scialba la sua vita, con nessuna prospettiva per il futuro, nessuna voglia di andare avanti. Fa quello che deve fare per tirare avanti giorno dopo giorno.

Gli altri non lo sanno, non lo immaginano nemmeno, ma Ilaria è la classica persona che potrebbe essere definita come “depressa ad alto funzionamento”.

Depressione ad alto funzionamento

Ufficialmente non esiste una diagnosi di questo tipo. Per i manuali diagnostici o si rispettano i criteri per un disturbo oppure non lo si ha o questo non esiste. Ma a Ilaria non le importa un granché nemmeno della sua vita, figuriamoci dei manuali diagnostici.

La differenza fondamentale tra la depressione maggiore e una depressione ad alto funzionamento, al netto dei criteri diagnostici, è che chi soffre di quest’ultima sembra vivere una vita apparentemente normale. Cioè, è in grado di funzionare.

Una persona con una depressione conclamata spesso non è nemmeno in grado di alzarsi dal letto, figuriamoci andare a lavoro o prendersi cura di sé. Quando si è alle prese con una depressione ad alto funzionamento, invece, queste attività vengono sì svolte quotidianamente, ma richiedono un’energia e uno sforzo difficili da immaginare. Insomma, la persona riesce a mantenere una vita più o meno attiva, ma ogni attività è improntata alla semplice sopravvivenza.

Quello che gli altri non vedono

Dall’esterno tutto questo non si vede e nessuno sospetta niente, perché non c’è motivo di considerare Ilaria una persona depressa. È in grado di interagire con le persone, anche se la natura dei discorsi è sempre piuttosto superficiale e ha sempre una buona scusa per declinare degli inviti, ma la realtà è ben diversa. Le interazioni sociali non sono altro che l’ennesimo compito da svolgere, non un piacere.

Ilaria sembra funzionare come chiunque altro, ma diventa ogni giorno più faticoso. Non ha più energie, spesso è stanca e la spiegazione che dà agli altri è un ritornello su come il lavoro ultimamente sia molto stressante.

Solo lei sa cosa significa tornare a casa tutti i giorni e finalmente lasciarsi andare alla tristezza. Togliere la maschera e tirare i remi in barca. E contemplare la propria stanchezza, la mancanza di forza e di stimoli per alzarsi da quel divano, l’assenza di una prospettiva. Certo, in teoria sarebbe bello uscire per strada e parlare con la gente, ma a che pro? Nulla cambia, il dado è tratto: il domani sarà soltanto l’ennesimo oggi.

Vivere, non funzionare

Ilaria fa quello che deve fare andare avanti, ma è un semplice “tirare a campare”. Non ha sogni, non ha obiettivi, non ha speranze. Il futuro è indefinito, tutt’al più è una grigia fotocopia di quello che è stato ieri e oggi. Andare avanti, senza una meta, solo per inerzia.

Ma vivere è molto, molto di più. Significa essere nel presente e apprezzare quanto di buono c’è in ogni giorno, godere dei momenti di felicità ma anche cercarli attivamente, facendo ciò che ci piace e con le persone che ci fanno stare bene. Vivere è anche guardare avanti e sperare in un domani migliore. Porsi degli obiettivi e andare dritti, con fiducia e risolutezza, in direzione del loro raggiungimento.

Questo forse è ciò che manca a Ilaria. Riscoprire le piccole gioie quotidiane che esistono già ma che non riesce più a vedere: l’aroma del caffé che risveglia i sensi quando al mattino gli occhi sono ancora mezzi chiusi, il profumo dei fiori quando passa davanti al fioraio, la soddisfazione di un lavoro fatto bene, l’abbraccio di un’amica che è contenta di vederti.

Riaprire il cassetto, da tempo chiuso con molteplici lucchetti, dove stanno a riposare i sogni: nient’altro che altri momenti belli che non sono qui, non sono ora, ma saranno, forse, un domani.

depressione ad alto funzionamento

Giù la maschera

Quante persone, nella vita di tutti i giorni, lottano per andare avanti avvertendo un angoscioso senso di vuoto dentro di sé? Sono quelle stesse persone che leggono storie sulla depressione e non si riconoscono nell’immagine della persona raggomitolata nel letto, che si dicono: “Io non sono così, ma perché non riesco a essere felice?”.

Vivere è molto più che stamparsi in faccia un sorriso forzato per affrontare l’ennesima giornata che ci è stata concessa. Quanti di noi, però, considerano ogni giorno che passa come l’ennesima prova da superare? Quanti si chiedono cosa c’è di sbagliato in loro e temono la risposta più della domanda?

Andare avanti con indosso la maschera di chi sta bene non è però l’unico modo per cercare di affrontare la tristezza e l’incertezza che assediano la nostra vita. Condividere il proprio dolore con chi ci è accanto, chiedere aiuto a chi ci vuole bene o rivolgersi a un professionista possono fare la differenza tra il restare intrappolati in un indefinito grigiore e il rivedere la luce alla fine del tunnel.

So che non è facile, ma trova il coraggio di togliere la maschera. Perché nessuno deve soffrire in silenzio e affrontare, da solo, un dolore che appare più grande persino di sé stessi.

 

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