Ogni giorno la vita ci pone di fronte a eventi, grandi e piccoli, che in qualche modo ci fanno stare male o comunque ci creano un senso di disagio. Si tratta di esperienze che sono parte integrante della vita e che spesso non è possibile evitare. Ma è possibile imparare a comprenderle e a valutarle da un’altra prospettiva, così da evitare di soffrire più del dovuto?
Tanto tempo fa, quando la psicologia come la conosciamo non era ancora nata, un semplice uomo scoprì una verità tanto semplice quanto apparentemente difficile da comprendere e da applicare. E cioè che quando ci capita qualcosa di negativo, non soffriamo solo per l’esperienza dolorosa in sé, ma anche e soprattutto per il modo in cui reagiamo a questa esperienza.
Egli trasmise questo insegnamento tramite l’immagine di un uomo che, dolorante per essere stato colpito da una freccia, si lascia catturare da un vortice di valutazioni sull’esperienza stessa e finisce per soffrire molto più del necessario. Come se fosse stato colpito non da una, ma da due frecce.
Insomma, costui fu tra i primi a rendersi conto dell’effetto che i nostri pensieri possono avere sulle esperienze che viviamo. E certamente fu anche uno dei primi a cercare e a tracciare un sentiero che potesse condurre alla fine dell’universale condizione di sofferenza dell’essere umano. Questo semplice uomo altri non è che colui che viene comunemente riconosciuto come il Buddha.
Le parole che seguiranno non hanno né lo scopo né la pretesa di risolvere una volta per tutte ogni tua sofferenza, ma sono piuttosto una riflessione su alcuni meccanismi, comuni a tutti, che non fanno altro che ingigantire qualunque sofferenza a cui andiamo inevitabilmente incontro …e chissà, magari scoprire cosa si può fare per evitare di soffrire più del necessario.
Tiro al bersaglio
Ogni giorno, inevitabilmente, ci troviamo a vivere esperienze più o meno spiacevoli. Si va dai piccoli inconvenienti, come il pc che si “impalla” all’improvviso o il rosso del semaforo che scatta proprio quando toccava a noi passare (e siamo già in ritardo), a eventi più significativi e dolorosi, come la perdita del lavoro, la fine di una relazione o il ripresentarsi di un dolore cronico.
Queste esperienze, inutile girarci intorno, fanno parte della vita. Alcuni giorni va tutto relativamente bene, e nulla di negativo (o di significativo) sembra colpirci, mentre in altri siamo costantemente bombardati da eventi spiacevoli, piccoli o grandi che siano. Come se fossimo un bersaglio da arciere, impotenti in attesa della prossima freccia che ci verrà scoccata contro.
Insomma: normalmente veniamo sottoposti, contro la nostra volontà, a numerosi stimoli che possono causarci sofferenza. E già così la nostra vita appare già sufficientemente dura. Ma non finisce qua. Non facciamo neanche in tempo a renderci conto di essere stati colpiti da una freccia che, quasi istantaneamente, ne arriva subito una seconda.
La seconda freccia
In pratica, succede questo: quando ci capita qualcosa di spiacevole, piccola o grande che sia, invece che semplicemente riconoscerla e cercare, se possibile, di rimediare, ci lasciamo catturare da un flusso di pensieri ed emozioni negative su quanto orrenda sia la situazione nella quale ci siamo trovati.
Se attiviamo un interruttore e si brucia la lampadina, invece che riconoscere che è un qualcosa che può capitare (e che, a conti fatti, non è poi tutto questo dramma) e che basterebbe sostituirla con una nuova, automaticamente si attiva una reazione negativa sotto forma di pensieri tipo “Perché deve sempre capitare a me? Perché proprio adesso che ho tante cose più importanti da fare? Sono sicuro che anche se la cambio fra una settimana mi capiterà di nuovo!”. Praticamente non ci diciamo mai “Perdindirindina, è saltata la lampadina! Fa nulla, ora la cambio!”, ma piuttosto tendiamo a reagire in maniera spesso spropositatamente negativa.
Questa è la seconda freccia: una serie di reazioni che si attivano automaticamente quando ci capita qualcosa di spiacevole. Ed è proprio questa seconda freccia che può farci più male. Perché è proprio questo flusso di pensieri, emozioni e sensazioni negative a potenziare ulteriormente la sofferenza dell’esperienza originale e a provocare, in ultima analisi, livelli di ansia e di stress ancora più elevati del dovuto.
Quello della lampadina è un esempio di un evento relativamente insignificante, eppure potrebbe scatenare una reazione negativa e stressante che spesso è peggiore dell’esperienza originale in sé. E quanto possono essere dolorose le emozioni e i pensieri che possono scaturire da sofferenze ben più grandi? Cosa possiamo arrivare a dirci quando finisce una relazione (“Non me ne va mai bene una, resterò solo per tutta la vita”) o quando perdiamo il lavoro (“Sono rovinato, resterò per sempre disoccupato e finirò sotto i ponti”)?
Tra l’arciere e il bersaglio
Ma se la prima freccia viene scagliata, diciamo così, “dalla vita” …chi è che scaglia la seconda? Esatto, siamo noi stessi a scagliarla. Noi, che in quei momenti siamo sia vittima che carnefice, sia arciere che bersaglio.
È chiaro che non è un qualcosa che facciamo volontariamente (chi mai lo farebbe, e soprattutto: perché farlo?!), eppure le cose stanno così. Non è colpa nostra, sia ben chiaro: sono abitudini che abbiamo appreso, sviluppato e rinforzato per tutta la nostra vita, supportati dalla naturale tendenza dell’essere umano a “usare troppo il cervello”.
Non è colpa nostra, sì, ma resta comunque una nostra responsabilità non permettere di farci ferire anche dalla seconda freccia. Se la prima è inevitabile, la seconda si può evitare. Anche se non è sempre facile.
L’esperienza in prospettiva
Non è facile proprio perché questa seconda freccia viene scagliata in maniera automatica, e non abbiamo quasi mai la prontezza di accorgerci di cosa ci sta accadendo in quel momento, osservarlo nella giusta prospettiva e rispondere nella maniera più adeguata. È tutta una vita che ci portiamo dietro queste abitudini a esagerare e ad aspettarci il peggio, a giudicare negativamente non soltanto quello che ci capita, ma spesso soprattutto noi stessi. Per questo non è facile.
Ma le abitudini si possono cambiare, per fortuna. E il primo passo è proprio quello di rendersi conto di come le nostre tendenze a ingigantire, amplificare e dilatare la negatività di ciò che ci succede nella vita fanno sì che la nostra vita appaia ancora più difficile di quanto normalmente lo sia già. E di come la sofferenza che proviamo sia maggiore di quella che potremmo realmente provare.
Occorre cioè mettere le cose in una nuova prospettiva. Come? Puoi provare con le “4 R”:
- Respira. Quando succede qualcosa, prenditi qualche istante di pausa. I problemi e gli inconvenienti non scappano, ma tu puoi concederti un piccolo momento per fermare tutto e portare l’attenzione a cosa sta succedendo.
- Ricorda che le esperienze spiacevoli, piccole o grandi che siano, o il fatto che le cose non sempre vadano come desideri, sono aspetti inevitabili e normali della vita.
- Riconosci i pensieri che sono emersi col sorgere dell’esperienza. Cosa hai pensato? Cosa ti è passato per la testa?
- Rivaluta questi pensieri sull’esperienza spiacevole secondo una diversa e più ragionevole prospettiva. È possibile che ciò che hai pensato sia esagerato se non addirittura falso? Come puoi pensarla diversamente?
Piccoli passi
Insomma, sii consapevole del flusso di pensieri che si è innescato in seguito all’esperienza e mettili in discussione adottando una prospettiva più ragionevole su ciò che in realtà è accaduto o sta accadendo in questo momento.
È chiaro che un conto è rivalutare la frustrazione per una lampadina che si è bruciata, un altro è considerare sotto una luce diversa un evento come la fine di una relazione. Ma il meccanismo è lo stesso. Comincia quindi dalle cose più facili, come quando ti si “impalla” il computer o versi una bevanda sul pavimento.
Più diventi bravo a mantenere la calma e a non lasciarti catturare dalla corrente dei pensieri e delle emozioni negative quando ti capita qualcosa di “piccolo”, più sarà facile affrontare anche le situazioni più “grandi”. Tornando alla metafora della seconda freccia: prima impari a evitare le freccette, prima riuscirai a evitare i giavellotti.
Dolore e sofferenza
Il messaggio di fondo, comunque, è una grande verità che purtroppo non è così facile comprendere, almeno all’inizio. Questo messaggio è molto semplice, e viene così riassunto in un bel libro di Henepola Gunaratana: “il dolore è inevitabile, la sofferenza no”.
In pratica: ci sono sì cose che ci fanno male, ma è il nostro modo di reagire a queste cose che può finire per farci ancora più male.
…e visto che siamo in vena di riflessioni, augurandovi (per quanto possibile) la cessazione di ogni sofferenza, vi lascio con una riflessione del saggio Thich Nhat Hanh:
Il dolore può anche essere inevitabile, ma il fatto di soffrire o meno dipende da te. Soffrire è una scelta, tu scegli se soffrire o meno.
Nascita, vecchiaia e malattia sono naturali. È possibile non soffrire a causa loro, quando hai scelto di accettarle come parte della vita. Puoi scegliere di non soffrire benché vi siano dolore o malattia.
Come vedi la vita e la tua particolare situazione dipende dal tuo modo di guardare.