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Riconoscere e capire cosa proviamo e come reagiamo alle situazioni è la base per poter cambiare. Per farlo, bisogna imparare a guardarsi dentro e osservare cosa ci accade quando siamo in contatto con noi stessi o con gli altri. Vediamo insieme alcune strategie per cominciare a osservare i propri pensieri, il primo passo per conoscersi davvero.

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Qualche giorno fa, una mia amica e collega mi stava raccontando di come avesse conosciuto una persona molto interessante che le aveva fatto sentire, dopo tanto tempo, le famose “farfalle nello stomaco”. Mi ha anche raccontato di come si fosse trovata spesso a fantasticare di un possibile futuro con lui, e di come, inevitabilmente, queste fantasie finissero sempre male!

Solitamente cominciavano con belle scene di loro che passeggiano sul lungomare, cene a lume di candela, pargoli che scorrazzano di qua e di là… e alla fine inevitabilmente si rivedeva triste e sola, di nuovo single dopo anni felici trascorsi con lui, che l’aveva lasciata perché ormai diventata brutta e noiosa.

Da bravi psicologi, ovviamente, ci siamo confrontati sul perché di questi finali drammatici a seguito di immagini ricche di amore e felicità (ma di che parlano ‘sti psicologi??), e la risposta è arrivata immediatamente: sono il riflesso delle sue paure. In particolare, la paura di essere abbandonata perché non meritevole di amore.

La mia amica era già ben consapevole di questa sua paura sotterranea, infatti una volta emersa non c’è rimasta male più di tanto. Sa benissimo che quello è un suo punto debole ed è in grado sia di vedere i fenomeni mentali che derivano da questa sua paura sia di contrastarli non facendosi coinvolgere emotivamente da queste fantasie. Un’altra stranezza da psicologi!

Pensieri fuori luogo

In letteratura esistono diversi modi per definire quei pensieri che hanno un effetto particolarmente disturbante rispetto alle emozioni che proviamo e ai nostri comportamenti: pensieri irrazionali, pensieri disfunzionali, pensieri inadeguati… In questo caso mi è venuto spontaneo chiamarli “pensieri fuori luogo” perché, in effetti, in quel momento davvero non avevano nulla a che fare con le fantasie di amore e felicità della mia amica.

E anche la reazione che hanno immediatamente scatenato era fuori luogo: un’ombra di tristezza su un dipinto gioioso e luminoso. Fortuna che, essendo consapevole del processo, la mia collega non s’è lasciata “agganciare all’amo” da questi pensieri e la tristezza è stata solo una nuvola passeggera.

La fortuna è che lei è ben consapevole di questi fenomeni e di come gestirli. Ma la maggior parte delle persone non lo è e spesso se ne lascia coinvolgere. E non sto parlando soltanto di quei pensieri “fuori luogo” che sembrano completamente estranei alle fantasie del momento, lo stesso discorso vale per tutti quegli eventi della mente che, in un modo o nell’altro, hanno un effetto sul nostro umore e sul nostro modo di comportarci. Siano essi pensieri, immagini, fantasie, stimoli interni o esterni.

La mente scimmia

La nostra mente saltella di qua e di là, è un incessante flusso di parole, immagini, sensazioni che non si ferma mai. In alcune tradizioni buddhiste viene definita la “mente scimmia”, proprio perché si lancia senza sosta da un ramo all’altro, un’immagine che secondo me rende benissimo l’idea. Pertanto, è difficile riuscire a “fermare” la nostra scimmia interiore e guardarla bene in faccia.

Spesso non ci accorgiamo nemmeno di tutto questo girovagare della nostra mente, perché la maggior parte del tempo siamo troppo occupati a “vivere” la nostra vita e non ci riesce quasi mai di fermarci un attimo per osservare cosa accade dentro di noi. Di passare cioè dal ruolo di attore a quello di spettatore.

Cioè che succede, quindi, è che ci troviamo a “subire” quello che la nostra mente ci propone, senza nemmeno essere consapevoli di qual è stata la molla che ci ha fatto scattare una certa emozione o un qualunque altro tipo di reazione. Senza alcuna capacità di osservazione, restiamo in balìa di ciò che i nostri bisogni più profondi, i nostri abituali modi di fare e di vedere la realtà ci impongono automaticamente. A-criticamente.

Osservare i pensieri

Di per sé, osservare la propria mente al lavoro non è una cosa complicata. In realtà è davvero un’attività molto semplice, anche se alle prime può sembrare un compito arduo. Questo perché, come dicevo prima, non siamo abituati a farlo e non abbiamo alcune idea di come si fa.

Ci sono diversi modi per imparare l’arte dell’autosservazione, ciascuno con le sue metodologie e le sue finalità. In particolare, secondo me, risultano molto utili le tecniche proprie della mindfulness (o meditazione di consapevolezza) e della psicoterapia cognitiva. Entrambe ovviamente richiederebbero una trattazione molto ampia e particolareggiata, perciò qui mi limiterò a fare una brevissima sintesi di ognuna di queste “strategie” per imparare a osservare i propri pensieri.

  • Nella pratica della mindfulness, per osservare davvero i pensieri abbiamo bisogno di due componenti: la concentrazione e la consapevolezza. Semplificando, possiamo dire che la concentrazione serve a predisporci all’osservazione, mentre con la consapevolezza possiamo osservare i pensieri (le immagini, le fantasie, eccetera) per quello che realmente sono: eventi mentali con un inizio, uno sviluppo e una fine. Con la giusta dose di concentrazione e consapevolezza, diventa sempre più facile riuscire a vedere questi fenomeni e osservarli da una prospettiva diversa, così da riuscire a notare anche gli effetti che questi eventi mentali hanno sul nostro modo di emozionarci e di agire.
  • Con le tecniche di automonitoraggio e autosservazione proprie della psicoterapia cognitivo comportamentale, spesso può essere utile iniziare la propria osservazione a partire dalle emozioni che proviamo, per poi andare a ritroso e scoprire i pensieri che le hanno determinate. Ad esempio, quando ci sentiamo tristi, possiamo fermarci un attimo e cercare di andare con la mente a quali pensieri hanno preceduto questa emozione. Se lo facciamo ogni volta che sentiamo un’emozione negativa, poco alla volta impariamo ad essere maggiormente consapevoli dei pensieri che ci sono dietro, così da riconoscerli per tempo ed eventualmente affrontarli con le giuste tecniche. Così da non restare invischiati in reazioni emotive e comportamentali che possono farci del male.

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La punta dell’iceberg

Quella appena presentata è ovviamente una sintesi estrema di due strategie di autosservazione molto potenti che richiedono pratica, tempo, pazienza e costanza per essere applicate al meglio. In ogni caso non si tratta di un’impresa titanica, ed entrambi i percorsi possono essere intrapresi da chiunque; non è richiesto alcun prerequisito specifico, se non un’adeguata motivazione e un approccio equilibrato al fenomeno.

È anche vero, però, che i pensieri che possiamo più facilmente osservare sono spesso “superficiali” e non necessariamente rendono conto di tutto ciò che c’è in profondità. Inizialmente, quindi, saremo in grado di vedere solo la cosiddetta “punta dell’iceberg”. Per andare più in profondità è più utile rivolgersi a un esperto per imparare “come osservare” ciò che davvero ci passa per la testa.

Non è così semplice fare ciò che la mia amica ha fatto: partire da un’immagine e riconoscere i paesaggi del proprio mondo interiore. Ma la buona notizia è che se c’è riuscita lei, possono riuscirci tutti. Basta solo sapere cosa e dove guardare.

Gestire i pensieri

Osservare i pensieri è semplice ma allo stesso tempo difficile, ma solo perché la nostra mente scimmia non è addestrata a farlo. Gestire i pensieri, quello è un altro paio di maniche.

Con questo non voglio dire che non si possa fare, perché in realtà è più che possibile (anzi, direi che anche è consigliato farlo!) ma si tratta di un livello superiore che richiede certamente un’attenzione diversa e, spesso, l’aiuto di un professionista che possa guidarci alla scoperta del nostro mondo interiore.

Nel momento in cui ci fermiamo a osservare davvero, infatti, potremmo accorgerci di alcune cose che potrebbero anche farci provare emozioni particolarmente spiacevoli. Prendendo l’esempio della mia amica, arrivare a vedere chiaramente le nostre paure, come quella di essere soli e abbandonati a sé stessi, può essere un’esperienza disarmante e mortificante. Ma se si impara a farlo nel modo giusto, vedendo ciò che temiamo come una semplice manifestazione dei nostri bisogni, possiamo alla fine capire cosa possiamo realmente fare per soddisfarli, nella maniera migliore possibile e nel rispetto della propria natura.

Guardare in faccia le proprie paure non è per nulla facile. Soprattutto se abbiamo paura di ciò che possiamo trovare. Ma non è il guardare in faccia le proprie paure che fa più male, è ignorarle che ci fa davvero danno. Perché se non siamo consapevoli di ciò che ci accade, di ciò che proviamo, di ciò che facciamo, saremo sempre in balìa degli eventi.

Lasciandoci trascinare dalle onde non andremo mai dove vorremmo davvero andare. Solo imparando a governare la nave possiamo giungere alla serenità e al benessere. E imparare a osservarci è il primo passo verso la felicità.

 

Esercizio! Prova a osservarti, appena te la senti: appena noti un’emozione, fermati un attimo e porta la tua attenzione ai pensieri. Cosa hai pensato un istante prima di sentirti così? A quel pensiero ne sono seguiti altri? Cosa dicevano? Oppure non c’erano pensieri, ma solo immagini? Cosa hai visto?
Se ti va, fammi sapere come è andata lasciando un commento. Sono curioso di sapere cosa ti passa per la testa!

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Il nostro modo di vedere e valutare la realtà che ci circonda è condizionato fortemente dai nostri bisogni più profondi, quindi anche ciò che la mente ci racconta dipende da questi. Non sempre, però, quello che ci passa per la testa corrisponde alla verità…

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Quando ci si ferma a pensare alla complessità del corpo umano non si può non provare meraviglia. Proprio mentre stai leggendo queste parole nel tuo corpo stanno accadendo tante piccole cose che ti consentono di fare quest’esperienza: il tuo cuore spinge il sangue ricco di ossigeno lungo il sistema cardiocircolatorio, l’ossigeno nutre i muscoli che consentono ai tuoi occhi di muoversi tra una parola e l’altra, mentre una parte del tuo cervello è in grado di attribuire un significato alla serie di segni impressi sulla pagina per darne un senso compiuto.

Senza dimenticare che nel frattempo il sistema nervoso centrale e quello periferico ti consentono di respirare (l’ossigeno da qualche parte dovrà pure arrivare), di dirigere la tua attenzione sullo stimolo visivo e di fare un mucchio di altre cose che nel complesso consentono all’incredibile macchina umana di continuare a vivere (regolare i livelli ormonali, silenziare alcuni muscoli e attivarne altri, controllare il livello di fame, restare all’erta nei confronti di stimoli improvvisi e tanto, tanto altro!).

Un’orchestra di milioni di strumenti che suona perfettamente ogni singola nota, diretta da un organo, il cervello, che lavora silenziosamente ed efficacemente per garantire al tuo corpo di continuare a cantare la melodia della vita.

L’uomo: l’animale dal cervello più complesso

Il cervello è un organo presente in tutti gli organismi più complessi e ha il ruolo, appunto, di dirigere le diverse funzioni vitali necessarie a un organismo per continuare a vivere.

Con il passare del tempo (molto, molto tempo!), l’essere umano ha sviluppato alcune capacità uniche rispetto ad altre forme di vita animale che gli hanno consentito di raggiungere livelli di complessità incredibili, andando oltre la semplice soddisfazione dei principali bisogni biologici o l’istintiva risposta a stimoli ambientali. Questo ovviamente non significa che gli altri esseri viventi siano “semplici” o “inferiori”: in natura ogni cosa è fonte di meraviglia, se ci ferma a guardarla con la giusta prospettiva.

Con lo sviluppo delle funzioni cerebrali, l’uomo è diventato sempre più in grado di modificare il proprio ambiente, di acquisire nuove abilità e di trasmetterle ai suoi simili. Ha sviluppato complesse capacità di comunicazione e di ragionamento che gli hanno consentito di dare un nome a qualunque cosa, anche a quelle che non si possono “toccare” e che esistono solo dentro di noi, come i sentimenti, o le idee.

Questo ha fatto sì che l’essere umano potesse andare oltre la “semplice” sopravvivenza, sviluppando sistemi di ragionamento complessi basati sulla capacità di “pensare su se stesso” che hanno portato alla nascita di culture e società che rendono l’uomo, nel bene e nel male, un organismo unico e inimitabile.

Cogito ergo sum

Senza le nostre uniche ed eccezionali capacità di pensiero non ci sarebbero mai state la filosofia, la matematica, la poesia, l’arte. Certo, le scuole sarebbero state meno noiose… ma a pensarci bene non ci sarebbe stata nemmeno la scuola! Il che per qualcuno potrebbe sembrare una buona notizia, ma non ci sarebbero stati nemmeno internet e gli smartphone, la musica o i videogiochi. Ma neanche bollette da pagare, scadenze, impegni, traffico!

Tutti noi però avremmo vagato per la Terra senza nulla da fare che annusarci a vicenda cercando l’ennesima bacca che ci avrebbe consentito di vivere un giorno di più. Bello, eh?

E poi non ci sarebbe stata l’amicizia, la solidarietà, l’amore («Magari!», dirà qualcuno che adesso ha il cuore infranto). Insomma: non ci sarebbe stato l’essere umano così come lo conosciamo, con i suoi pregi e i suoi difetti.

È il cervello che ci fa pensare

Nonostante qualcuno pensi che nel genere maschile le capacità di pensiero risiedano in altri organi, la banale verità è che pensiamo col cervello. Può sembrare una cosa scontata (infatti lo è), ma spesso tendiamo a mettere da parte le cose scontate e a non considerarle quando si analizzano alcuni fenomeni.

Facciamo un passo indietro: per quale motivo il cervello è così fondamentale? È il cervello a dirigere i complessi meccanismi che ci consentono di continuare a vivere (come respirare, nutrirsi, muoversi), quindi la funzione principale del cervello è far sì che tutto funzioni alla perfezione per continuare a sopravvivere.

Lo sviluppo delle capacità cognitive ha svolto un ruolo importantissimo ai fini della preservazione degli esseri umani: nuove capacità significano nuove possibilità, nuove possibilità significano maggiori probabilità di sopravvivere e di trasmettere i propri geni. Ed è sostanzialmente per questo che l’evoluzione ha mantenuto (e migliorato nel tempo) queste caratteristiche della mente umana.

Attenzione! Non sto dicendo che le facoltà di pensiero si riducono a questo, ma è indubbiamente questo il punto di partenza. È questa la base dalla quale partire per poterci poi meravigliare di tutto il bello che il cervello umano è stato in grado di creare.

Il nocciolo della questione

Spogliando di ogni poesia la nostra capacità di pensare, scopriamo appunto che essenzialmente la sua funzione è legata alla sopravvivenza. Ma la sopravvivenza, per l’essere umano, non si può ridurre al semplice “mangiare-respirare-scappare-riprodursi”. Per quanto alla base di tutto ci sia questo, sarebbe paradossalmente contronatura limitarsi a considerare solo questi aspetti. Contronatura perché contro la natura umana. Perché è proprio grazie alle nostre umane capacità cognitive che la vita per noi è diventata più di questo.

Noi siamo più di questo. Siamo così complessi che non possono che essere complessi anche i meccanismi che ci rendono umani e che rendono la vita degna di essere vissuta.

Per “vivere” c’è bisogno anche di sentirsi soddisfatti, amati, protetti, parte di un gruppo. Per noi è diventata questa la “vera” sopravvivenza. E il nostro cervello, il cui ruolo è quello di consentirci di sopravvivere, ci spinge a considerare questi aspetti come fondamentali (e lo sono). Il problema, però, è che come per la maggior parte delle funzioni che ci consentono di sopravvivere, anche questi aspetti vengono gestiti in maniera automatica dal nostro cervello. Cioè senza pensare.

Automatica-mente

Intendiamoci: il fatto che una cosa sia automatica non significa anche che sia dannosa!

Prendiamo ad esempio il respirare: è un meccanismo che funziona bene proprio perché è automatico. Proviamo a pensare a come sarebbe la nostra vita se dovessimo stare ogni momento concentrati sull’immettere ed espellere aria. Non avremmo sicuramente la possibilità di fare altre cose con la nostra mente, e guai a distrarsi anche solo per un attimo! Un discorso simile è quello del guidare: chi guida abitualmente lo fa in maniera automatica, senza pensare ogni volta a sollevare un piede, schiacciare un pedale, girare lo sterzo, spostare la leva del cambio… tutto questo mentre guardi la strada e valuti il percorso, cerchi possibili pericoli ecc. Insomma, sarebbe un incubo (ed è molto probabile che non riusciremmo nemmeno a guidare).

Però c’è da considerare che alcuni comportamenti (nota: anche il pensare è un comportamento), se automatizzati, potrebbero non essere adatti per ogni situazione. Con l’automatismo si risparmia, ma si perde in efficienza. A una persona che reagisce automaticamente di fronte a un evento potrebbe andare bene una volta, ma in una situazione leggermente diversa la reazione automatica potrebbe addirittura essere dannosa! Un esempio è quello degli attacchi di panico, quando la reazione automatica di allarme risulta ingiustificata e può portare a conseguenze molto significative.

mente

Ciò che vediamo è ciò di cui abbiamo bisogno

Il nostro modo di vedere e valutare la realtà che ci circonda è condizionato fortemente dai nostri bisogni più profondi. Ad esempio, se per una persona è estremamente importante che gli altri abbiano un’opinione positiva di lei, sarà sicuramente molto attenta alle valutazioni degli altri e queste giocheranno un ruolo fondamentale nel determinare la visione di sé e, di conseguenza, il proprio livello di benessere psicologico.

Questi bisogni sono così radicati in noi che il più delle volte non sono consapevoli, o quantomeno non vi è una consapevolezza tale da farci ammettere “ciò che pensano gli altri di me è fondamentale per definire il mio valore”. Consapevoli o no, se sono presenti dei bisogni così importanti da determinare il modo in cui ci valutiamo (o valutiamo gli altri, o la realtà esterna), è chiaro che possono condizionare in maniera importante il modo in cui funziona la nostra mente.

Con tante cose da fare, la nostra mente (senza addentrarci in discorsi infiniti su cos’è: io qui la intendo come l’insieme delle facoltà cognitive) non è che può mettersi a ragionare su ogni piccolo aspetto di ciò che ci capita nelle nostre vite: sarebbe antieconomico, come abbiamo visto sopra. Allora, nel normale funzionamento quotidiano, spesso funziona col pilota automatico.

Ma in che senso la mente “mente”?

Se valutiamo la realtà in funzione dei nostri particolari bisogni ma in maniera automatica, cioè senza valutare attentamente cosa ci circonda e cosa ci accade, rischiamo di basarci su una valutazione assolutamente frettolosa e parziale della realtà, il che potrebbe condizionare fortemente il nostro modo di pensare, le emozioni che proviamo e i comportamenti che mettiamo in atto.

La mente quindi “mente” quando ci dice cose (e facendoci pensare cose, provare cose e fare cose) che in realtà non sono necessariamente vere, soltanto perché è guidata da processi automatici.

La mente, poverina, non lo fa apposta! È che è fatta così: parla senza pensare! In realtà vorrebbe solo aiutare… Sa che a noi alcune cose vanno bene e alcune male, e si basa soltanto sui segnali che sembrano confermare queste cose, senza fermarsi a valutare con precisione la realtà che è spesso più complessa di quanto sembra!

Così, ad esempio, se dopo aver completato un compito non ci viene data una bella pacca sulla spalla e qualche bella parola di apprezzamento, potremmo concludere che il lavoro svolto non è poi ‘sto granché, che un frettoloso «Hai fatto un buon lavoro» è in realtà soltanto una frase di circostanza. Da qui al valutarci come non in grado di fare quella cosa è un passo molto breve (per chi ha bisogno di sentirsi apprezzato dagli altri per poter apprezzare sé stesso). Non ci fermiamo a valutare che magari la persona aveva semplicemente fretta, anche se l’abbiamo vista allontanarsi a tutta velocità dopo aver dato una rapida occhiata a quanto abbiamo fatto.

Ragionevol-mente

Al di là del concetto errato che sta sullo sfondo (“valgo solo se valgo per gli altri”), valutando la realtà unicamente rispetto ai nostri bisogni e alle nostre aspettative, rischiamo di farci pesantemente condizionare dagli elementi che automaticamente la nostra mente ricerca, arrivando poi a conclusioni che non necessariamente sono vere soltanto perché ci passano per la testa.

Mettendo per il momento da parte il pesante fardello delle nostre più profonde credenze errate (basate su bisogni così importanti per noi da poter essere considerati fondamentali per la nostra “sopravvivenza” o comunque per il nostro senso di benessere), una cosa che si può fare concretamente quando sentiamo che da una certa situazione abbiamo sperimentato significative emozioni negative è fermarsi un attimo e disattivare il pilota automatico.

Le stesse facoltà che hanno consentito agli esseri umani di progredire, di immaginare, di creare, possono essere messe al nostro personale servizio se consapevolmente mettiamo in discussione quello che in automatico la nostra mente ha partorito.

A nessuno piace vedersi come un “credulone”. Allora perché tante volte ci facciamo abbindolare da una nostra prima, rapida valutazione? Solo perché sentiamo che viene da dentro di noi? E solo per questo dovrebbe necessariamente essere “vera”?

La verità è che quando si tratta di valutare la realtà, la mente mente (automaticamente). La prossima volta teniamolo “a mente”!

Non lasciamoci usare dalla mente, piuttosto usiamola! ?

 

P.S. Ringrazio una mia paziente, C., per avermi fornito l’ispirazione per il titolo!

 

E a te è mai capitato di mettere in discussione ciò che la mente ti suggeriva? Hai mai pensato che forse non tutto quello che ti passa per la testa corrisponde a verità? Cosa ne pensi del concetto che i nostri bisogni più importanti possono incidere su come valutiamo la realtà? Se hai voglia di condividere i tuoi pensieri lascia pure un commento!

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