Tag Archivio per: attaccamento

L’attaccamento in età adulta e l’attaccamento di coppia

attaccamento

Nel primo articolo abbiamo visto come, secondo la teoria dell’attaccamento, nel corso dei primi anni di vita vengano costruiti dei primi modelli di relazione a partire da quella tra il bambino e chi se ne prende cura.

In questa seconda parte facciamo un salto all’età adulta, per vedere in che modo le basi poste durante l’infanzia si esprimono nel rapporto con l’altro, e in particolare nella coppia.

Dall’infanzia all’età adulta

Gli stili di attaccamento sviluppati nel corso dell’infanzia tendono a influenzare le modalità con le quali ciascuno di noi reagisce ai propri bisogni e cerca di soddisfarli all’interno della relazione con l’altro. Questo perché i primi modelli di relazione diventano una specie di “copione” che ci dice cosa fare quando abbiamo bisogno di supporto e di conforto, ma anche a chi rivolgerci.

In questo senso, gli stili di attaccamento possono avere una forte influenza sulle modalità di selezione del partner, su cosa ci aspettiamo da questi e su come ci comportiamo con l’altro quando sentiamo che i nostri bisogni (di sicurezza, di amore, di intimità, ecc.) vogliono essere soddisfatti.

Insomma: anche se ormai siamo grandicelli, quello che da piccoli abbiamo imparato su cosa aspettarci quando ci affidiamo (o meno) a qualcuno tende a lasciare una traccia, visibile anche in età adulta.

È anche vero però che non tutto resta uguale. Con il passare degli anni –per fortuna!– i comportamenti di attaccamento si evolvono con l’evolversi della persona. Difficilmente, infatti, vedremo un adulto attaccarsi alle gonne della mamma e piangere disperato.

La sostanza, comunque, resta: i modelli di relazione che abbiamo assimilato nei primi anni di vita non svaniscono nel nulla.

Le dimensioni dell’attaccamento

In particolare, nell’articolo precedente, si è parlato di come i nostri modelli relazionali prevedano due protagonisti principali: il sé e l’altro. Ovvero il nostro modo di intendere noi stessi (meritevoli o meno di supporto) e le persone a noi vicine (disponibili o meno a fornirci supporto).

Questi “ruoli interni” guidano il nostro modo di relazionarci con i nostri partner, e si manifestano secondo due dimensioni comportamentali che possono essere utilizzate per misurare l’attaccamento in età adulta: quella dell’ansia e quella dell’evitamento.

  • Ansia. Questa dimensione si correla a quanto una persona si preoccupa dell’essere abbandonata, respinta o non apprezzata dal partner. Si parla di individui sempre pronti a rimuginare sulle loro relazioni e sulle reali intenzioni della persona amata, specialmente quando non in prossimità del partner o di fronte a espressioni di indipendenza di quest’ultimo. Quando persone con alti livelli di ansia si sentono insicure dei sentimenti del loro partner o della relazione, tendono a diventare appiccicose e possessive, ma così facendo possono spingere il partner ad allontanarsi, rinforzando proprio le loro insicurezze.
  • Evitamento. Questa dimensione si correla invece a quanto una persona è a proprio agio con l’intimità emotiva in una relazione. Individui con alti livelli di evitamento tendono ad essere meno coinvolti nelle loro relazioni e cercano di rimanere psicologicamente ed emotivamente indipendenti dai loro partner. Questo perché temono di sentirsi vulnerabili e, allo stesso tempo, ritengono che il partner non potrà aiutarli quando ne avranno realmente bisogno: cercano così di sentirsi forti e sicuri facendo affidamento solo su loro stessi e sulla loro autonomia. Ed è così che solitamente rispondono di fronte a situazioni stressanti o conflittuali.

È importante sottolineare che non stiamo parlando di “categorie” (o ci sei o non ci sei), ma di “dimensioni”, il che sta a significare che può esserci una certa variabilità nel proprio essere “ansiosi” o “evitanti”. Potremmo considerarle più delle “tendenze” che delle reazioni rigide, e questo è molto importante perché significa che è qualcosa su cui ci si può lavorare.

L’attaccamento da adulti

In ogni caso, considerando le due dimensioni dell’ansia e dell’evitamento, possiamo notare una certa continuità con gli stili di attaccamento caratteristici dell’infanzia:

  • Stile sicuro. Coloro che hanno un’immagine sostanzialmente positiva di sé e dell’altro, ritenendo loro stessi amabili e gli altri come disponibili e degni di fiducia. Per tale motivo, manifestano bassi livelli di ansia e di evitamento nelle loro relazioni.
  • Stile distanziante. L’aspetto principale è un’immagine negativa dell’altro, considerato come generalmente non disponibile o supportante, il che porta l’individuo a puntare solo su sé stesso. I livelli di ansia nella relazione sono bassi, ma la dimensione dell’evitamento è molto consistente.
  • Stile preoccupato. In questo caso è l’immagine di sé che tende ad essere negativa, perennemente alla ricerca di conferme sulla propria amabilità. Qui i livelli di ansia relazionale sono decisamente alti, mentre la dimensione dell’evitamento è praticamente inesistente.
  • Stile timoroso. Caratteristico di chi presenta un’immagine negativa sia di sé stesso che dell’altro. Risultano particolarmente presenti sia la dimensione dell’ansia che quella dell’evitamento, oscillando perennemente tra la ricerca dell’altro e il timore nei confronti di quest’ultimo.

È importante sottolineare come questi “stili” non sono sempre attivi e non guidano ogni aspetto di una relazione. Rappresentano piuttosto delle tendenze a gestire in un certo modo lo stress nelle relazioni. Quando le cose vanno bene, specialmente nel periodo “luna di miele” all’inizio di un nuovo amore, questi stili non risultano così espliciti. È solo nei momenti di difficoltà che possono emergere in tutta la loro forza: allo stesso modo che nell’infanzia, infatti, questi schemi relazionali si attivano solo quando abbiamo un bisogno di sicurezza o di conforto da soddisfare.

Così, nel caso dello stile “preoccupato”, se il nostro partner si dimentica di chiamarci o non risponde subito a un nostro messaggio, potrebbero immediatamente attivarsi dei comportamenti di ricerca di rassicurazioni (ansia). Se l’altra persona presenta invece uno stile “distanziante”, di fronte a queste richieste potrebbe affiorare una tendenza a starsene alla larga (evitamento).

Questo esempio ci fa intravedere un altro aspetto fondamentale dell’attaccamento in età adulta: come si combinano tra di loro gli stili di attaccamento dei partner in una relazione. Fino ad ora abbiamo parlato di questi stili dal punto di vista dell’individuo, ma non dobbiamo dimenticare che i comportamenti di attaccamento in realtà si manifestano esclusivamente all’interno della relazione con l’altro.

Attaccamento di coppia

A differenza dell’attaccamento in età infantile, l’attaccamento in età adulta è caratterizzato dalla reciprocità: entrambi i partner possono trovarsi in una posizione di ricerca di rassicurazione e di sicurezza o nella posizione di dover supportare e sostenere l’altro.

In questo senso, diventa molto importante considerare l’attaccamento “di coppia”, ovvero le possibili combinazioni di stili di attaccamento tra i due partner:

  • Attaccamento di coppia sicuro/sicuro. Tutti e due i partner sono in grado di esprimere il bisogno di conforto e di accoglierlo in maniera adeguata. Si tratta della combinazione “migliore”, che idealmente dovrebbe coincidere con una buona qualità della relazione di coppia.
  • Attaccamento di coppia distanziante/distanziante. Entrambi i partner tendono a non mostrare le proprie vulnerabilità all’altro, che comunque tenderebbe a reagire mettendo un muro tra sé e il partner. La parola chiave, in questi rapporti, è “autonomia”.
  • Attaccamento di coppia preoccupato/preoccupato. La combinazione più “scoraggiante”, nel senso che entrambi i partner vivono nella costante sensazione di non poter essere soddisfatti nei propri bisogni di conforto, sentendosi continuamente deprivati della possibilità di essere supportati.
  • Attaccamento di coppia distanziante/preoccupato. Probabilmente l’accoppiamento più “drammatico” e conflittuale, con uno dei due che cerca costantemente rassicurazioni da parte dell’altro, che di suo reagisce allontanandosi ancora di più. È il tipico siparietto dove uno dei due insegue, mentre l’altro scappa.
  • Attaccamento di coppia sicuro/insicuro (preoccupato o distanziante). Questa combinazione può essere considerata in qualche modo “incerta”, ma è anche quella che forse più di tutte può portare in qualche modo a “correggere” le tendenze negative degli attaccamenti insicuri. Questo perché il partner sicuro potrebbe fornire un modello diverso e più bilanciato del come vivere una relazione, specialmente nei momenti di maggiore difficoltà.

Esaminando in particolare quest’ultima combinazione, emerge un altro aspetto importante: anche se il nostro stile di attaccamento ci accompagna fin da quando siamo piccoli, riecheggiando nelle relazioni che possiamo avere in età adulta, non è detto che questo non possa essere in qualche modo “corretto” da nuove e diverse relazioni.

attaccamento

La scelta del partner

Come abbiamo visto nel primo articolo, lo stile di attaccamento che “impariamo” da bambini diventa una sorta di modello che ci guida nel come gestire i nostri bisogni di conforto e di sicurezza. Sviluppiamo, in questo senso, anche delle aspettative rispetto a chi siamo noi e a chi è l’altro. E queste aspettative sono attive anche nella fase di scelta del partner.

Questo significa che quando siamo alla ricerca di una persona con la quale instaurare una relazione, è possibile che le nostre scelte possano dipendere dalla nostra idea di come deve essere l’altro. In altre parole, cerchiamo qualcuno che possa confermare le nostre aspettative su come l’altro possa rispondere ai nostri bisogni.

In questo caso, il detto “chi si somiglia si piglia” non sembra applicabile! Infatti “ci pigliamo” chi può confermare i nostri modelli interni, non chi può smentirli. È il tipico esempio della combinazione distanziante/preoccupante, dove si finisce incastrati in relazioni in cui tendono a ripetersi le stesse sequenze che abbiamo vissuto durante l’infanzia, in cui i nostri bisogni non venivano accolti o non era il caso di esprimerli, e dall’altra parte qualcuno che non rispondeva in maniera adeguata alle nostre richieste di conforto e rassicurazione.

Altre volte, però, se si è fortunati, è possibile trovarsi in relazioni diverse, che in qualche modo mettono in discussione la nostra idea di come devono andare le cose nei rapporti di coppia. È il caso, ad esempio, dell’incontro tra un individuo sicuro e uno insicuro, in cui quest’ultimo può –forse per la prima volta– sperimentare un modo diverso di fidarsi e di affidarsi all’altro.

Vecchi modelli, nuove opportunità

Insomma, anche se tendenzialmente stabile, il nostro stile di attaccamento può essere “modificato”. Ciò che cambia, in questo senso, è il nostro modo di intendere noi e l’altro, ovvero la possibilità che i nostri bisogni possano essere adeguatamente accolti in quanto meritevoli del supporto e dell’affetto dell’altro.

Se è questo ciò che deve cambiare, non è detto che per farlo bisogna per forza troncare la relazione attuale a andare alla ricerca di un individuo “sicuro” per poterci liberare dal giogo delle nostre insicurezze.  Se il nostro partner non lo è, allora non resta che diventarlo noi.

Significa cioè imparare a essere consapevoli dei nostri modi di reagire, ma anche dei modi di reagire dell’altro. E poi essere consapevoli nel rispondere in maniera diversa quando ci sentiamo sopraffatti da qualcosa, o quando è il nostro partner a sentirsi sopraffatto.

Imparare a conoscere le proprie modalità di relazionarsi all’altro è il primo passo, per mettere poi in discussione i nostri modi di reagire e i meccanismi che ci tengono ancorati alla continua riconferma delle nostre idee su di noi e sugli altri. Idee vecchie, che in passato possono anche essere risultate utili, ma che adesso, in un diverso campo di gioco, non possono più applicarsi.

In amore, però, le cose si fanno in due. È importante che entrambi i partner si impegnino a cercare un nuovo equilibrio e a rispondere in nuovi modi quando arrivano i momenti difficili. Non è un lavoro facile, per questo spesso la cosa migliore da fare è rivolgersi a un professionista che possa aiutarvi in questo percorso.

In ogni caso, comincia a portare attenzione ai tuoi modi di reagire nella tua relazione. Chissà che già questo possa portarti a vedere le cose in maniera diversa. E magari spingerti a trovare nuove strade quando pensi di aver imboccato l’ennesimo vicolo cieco.

Condividi, se ti va :)

La teoria dell’attaccamento e lo sviluppo dell’attaccamento nell’infanzia

attaccamento

Le modalità con le quali ci relazioniamo con i nostri partner o con le persone per noi significative non sono casuali. Si tratta in realtà di modelli di comportamento vecchi almeno quanto noi, imparati nei primi anni di vita a partire dalle relazioni con i nostri genitori. Per capire perché tendiamo a relazionarci in certi modi con le persone a noi più vicine, è quindi necessario comprendere come e perché abbiamo imparato a interagire così.

In questo primo articolo esploreremo come nel corso dell’infanzia si pongono le basi per le relazioni con gli altri significativi, a partire da un particolare tipo di legame che si sviluppa tra il bambino e il proprio genitore: il legame di attaccamento.

Cos’è l’attaccamento?

Secondo la teoria dell’attaccamento, elaborata originariamente da John Bowlby, gli esseri umani nascono con una particolare predisposizione innata a formare dei profondi legami con chi si prende cura di loro. Questo legame, definito per l’appunto attaccamento, ha principalmente una funzione protettiva: un bambino piccolo non è in grado di sopravvivere da solo né tantomeno ha la capacità di gestire la propria sofferenza nei momenti di difficoltà. Per questo motivo, è necessario che ci sia una figura di riferimento alla quale il bambino potrà rivolgersi quando ne sentirà il bisogno.

Il legame di attaccamento si forma nei primi anni di vita a partire dalle modalità con cui le figure di riferimento risponderanno ai bisogni di rassicurazione e conforto del bambino. Se tutto va bene, queste figure di riferimento – solitamente i genitori – rappresenteranno poi la “base sicura” dalla quale il bambino potrà partire per esplorare il mondo e alla quale ritornare in caso di bisogno, garantendo conforto fisico e supporto emotivo.

Ovviamente la cosa non finisce qui. Il sistema di attaccamento non è semplicemente una strategia per stabilire relazioni significative con chi deve proteggerci così da sentirci al sicuro nel nostro percorso verso l’indipendenza. Il rapporto privilegiato che si costruisce in questi primi anni farà sentire la sua influenza per tutta la vita, condizionando profondamente le modalità con le quali entriamo in relazione con l’altro in età adulta. L’attaccamento sarà il modello per i sentimenti, i pensieri e le aspettative che esporteremo nelle nostre relazioni.

Pattern di attaccamento

Di fronte al bisogno innato di protezione del proprio bambino, non tutti i genitori rispondono allo stesso modo. Alcuni possono rivelarsi adeguatamente presenti e supportivi nei confronti del piccolo, altri possono essere incoerenti oppure distaccati, altri ancora potrebbero persino rappresentare una fonte di pericolo per il bambino.

Diversi anni fa, Mary Ainsworth, un’importante ricercatrice dell’attaccamento, ha ideato una procedura sperimentale per identificare quali e quanti fossero gli stili di attaccamento possibili. L’esperimento era tanto semplice quanto geniale: dei bambini piccoli venivano osservati in diverse condizioni, come quando in presenza di un estraneo, in assenza della madre e al ricongiungimento con la stessa.

La Ainsworth è così riuscita a individuare quattro pattern di attaccamento:

  • Attaccamento sicuro: i bambini con questo tipo di attaccamento utilizzano il genitore come “base sicura” dalla quale esplorare il mondo e alla quale ritornare in caso di “pericolo”. Il bambino, cioè, si sente sicuro che la figura di riferimento potrà rispondere ai suoi bisogni di protezione e di conforto quando ne avrà bisogno; per questo motivo si sente anche libero di esplorare l’ambiente circostante e di avviarsi, quindi, sul lungo cammino verso l’indipendenza sapendo di potersi affidare a qualcuno in caso di necessità.
  • Attaccamento insicuro-evitante: caratterizza quei bambini che, nel corso delle interazioni con le figure di riferimento, hanno imparato che, in caso di difficoltà, non troveranno nessuno in grado di accogliere i propri bisogni di protezione. I genitori di questi bambini tendono a essere poco disponibili emotivamente e poco consapevoli dei bisogni dei loro figli; il bambino perciò dovrà, giocoforza, imparare a gestire i propri bisogni da solo e diventare quindi precocemente autonomo. Imparano dunque a inibire le proprie emozioni (“che senso ha mostrarle se poi nessuno mi aiuta?”), ma sviluppano anche l’idea di non essere degni di supporto e di amore da parte degli altri.
  • Attaccamento insicuro-ambivalente: lo stile che si associa a quei bambini che appaiono confusi e insicuri, perché non sanno quale trattamento potrebbero aspettarsi. La figura di riferimento risponde sì alle richieste del piccolo, ma non sempre allo stesso modo: si tratta quindi di genitori poco costanti e imprevedibili, mostrando a volte presenza e supporto, altre volte insensibilità e rifiuto. Come risultato, il bambino non sa se considerarsi amabile o no, e nel dubbio resta appiccicato al genitore in modo da poterlo monitare constantemente. Hanno quindi paura di una separazione, per questo motivo l’esplorazione dell’ambiente (e lo sviluppo della possibilità di agire in maniera indipendente) risulta inibita.
  • Attaccamento insicuro-disorganizzato: è il caso più estremo, quando la figura di riferimento diventa anche la figura che rappresenta il pericolo. Si tratta di una situazione molto grave, spesso determinata da abusi e crudeltà vissute in ambito famigliare, nella quale il bambino è incastrato in un dilemma terribile: da una parte vorrebbe raggiungere la sua fonte di sicurezza (il genitore), che però è la stessa figura dalla quale vorrebbero scappare. Si tratta di un conflitto praticamente irrisolvibile, manifestato anche da comportamenti particolarmente paradossali e incongrui del bambino in situazioni di allontanamento o di riavvicinamento alle figure di riferimento.

Modelli di relazioni

Ciascuno di noi, nel corso della propria vita e proprio a partire dalle prime esperienze relazionali, elabora una serie di schemi mentali che guideranno le nostre percezioni e le nostre interpretazioni, e quindi anche i nostri comportamenti, quando abbiamo a che fare con gli altri. Questi “modelli di relazione”, quasi dei copioni teatrali, prevedono essenzialmente due protagonisti:

  • L’altro: il modello di come sono le figure di riferimento, vale a dire se ci si può fidare della loro capacità di fornire supporto quando ne abbiamo bisogno;
  • Il sé: il modello di come siamo noi, ovvero se i nostri bisogni possono o meno essere soddisfatti dagli altri, ma anche se siamo meritevoli di ricevere il loro supporto.

Se siamo in presenza di una relazione di attaccamento di tipo “sicuro”, il nostro modello dell’altro sarà certamente positivo, poiché percepiremo che la nostra figura di riferimento sarà presente e capace quando ne avremo bisogno; quindi, in caso di necessità, sappiamo di poterci appoggiare agli altri, e che gli altri saranno lì a sostenerci.

Ma se si trattasse di un attaccamento di tipo “insicuro”, le percezioni di noi stessi e degli altri potrebbero non essere così rassicuranti. Potremmo arrivare a considerarci poco o per nulla degni di amore, persino odiati. Potremmo irrigidirci nell’idea che nessuno potrà mai aiutarci o di quanto possa essere sconveniente o inutile esprimere i propri bisogni, oppure di doverli esprimere necessariamente strepitando e disperandosi. Potremmo considerare gli altri, coloro che sulla carta dovrebbero volerci bene, come delle persone insensibili o dalle quali doversi guardare di continuo, da controllare o persino da temere.

Diventa più chiaro, a questo punto, capire come lo stile di attaccamento che caratterizza la prima infanzia possa riecheggiare in tutti le relazioni che vivremo da quel momento in avanti.

attaccamento

Conclusioni

Il sistema di attaccamento è il primo motore dello sviluppo sociale, emotivo e cognitivo di ciascuno di noi. E da lì che può nascere il nostro senso di sicurezza e di fiducia nei confronti degli altri o, al contrario, una percezione di insicurezza e di sfiducia nel rapporto con l’altro.

I modelli appressi nel corso dell’infanzia sono relativamente stabili per tutta la vita, anche perché le modalità con le quali ci mettiamo in relazione con l’altro tendono alla riconferma dei presupposti di base, rinforzando quindi i modelli originali. Ma non tutto è perduto.

Anche se particolarmente resistenti, stiamo sempre parlando di modelli, di copioni da seguire quando ci troviamo in una relazione. Come se fossero dei manuali di istruzione. Ma ciò non significa che saremo condannati per tutta la vita a seguire quello che abbiamo appreso nei nostri primi anni, ma che c’è una forte tendenza a mettere in atto quelle stesse scene.

Nuove relazioni possono portare a nuovi e diversi modi di vivere sé stessi e l’altro. È importante però comprendere da dove derivano i nostri comportamenti relazionali, e che forma assumono in età adulta, in modo da potersene sbarazzare. Sarà proprio questo il tema del prossimo articolo: gli stili di attaccamento nell’adulto.

Condividi, se ti va :)