L’importante non è vincere, è non soffrire!
Ogni genitore vorrebbe proteggere i propri figli dalle sofferenza della vita, ma quando non si consente al bambino di sperimentare le difficoltà che incontrerà sul proprio cammino, un eccesso di protezione potrebbe rappresentare in realtà uno svantaggio. Come fare per conciliare il bisogno di proteggere e la necessità di preparare il proprio figlio alle sofferenze, agli insuccessi, alle frustrazioni della vita?
Un po’ di tempo fa, durante una partita di pallavolo tra ragazzi di prima media, mi è capitato di assistere a un comportamento che mi ha colpito molto. La mamma di uno dei ragazzi cambiava di continuo i punteggi della partita in favore della squadra del figlio, il tutto sotto gli occhi esterrefatti dei presenti (giocatori compresi). Solo gli arbitri non se ne sono accorti, giustamente impegnati a valutare lo svolgimento del gioco.
La partita è stata ovviamente vinta dalla squadra che ha ricevuto questo particolare aiuto, tra le proteste di tutti quelli che si erano accorti del fattaccio. In seguito, la mamma “segnapunti” si è giustificata dicendo che l’aveva fatto per “tutelare” il figlio, perché voleva che vincesse.
Non ho alcuna intenzione di criticare o di giudicare la madre, piuttosto quello che mi colpisce è l’idea che questa mamma ha di “tutela” del proprio ragazzo: evitargli una sconfitta. Forse con l’idea che ne sarebbe uscito devastato, o forse, in qualche misura, questa sconfitta sarebbe stata devastante per lei, non so.
Ma è così che proteggiamo i nostri figli? Rimuovendo dal loro percorso qualsiasi frustrazione o difficoltà? Siamo sicuri che così stiamo facendo loro un favore?
Come si sta in una campana di vetro
L’idea di poter essere al riparo dal dolore, dalle frustrazioni, dalle sconfitte e da ogni altro tipo di sofferenza è decisamente allettante. Chi non vorrebbe una vita così, con il massimo del piacere e zero dolore? Peccato che uno scudo del genere non esista, e lo sa bene qualunque essere umano: nessuno è al riparo dalla sofferenza.
Vedere il proprio bambino soffrire è molto doloroso, e qualunque madre o padre farebbe di tutto per evitare che questo accada. Alcuni genitori sentono così fortemente il bisogno di proteggere il proprio figlio da cercare di mitigare quanto più possibile gli effetti dell’ambiente attorno al bambino. Questo significa, ad esempio, proteggerlo dai litigi con i compagni, difenderlo a spada tratta dalle maestre e dai professori che lo rimproverano, assecondarlo in ogni richiesta o desiderio.
La vita all’interno della campana di vetro è molto facile. Ma non del tutto priva di sofferenza. Del resto, capita a tutti i bambini di cadere giocando e sbucciarsi un ginocchio. Ma, per quanto possibile, il genitore a guardia della campana è all’erta contro qualunque pericolo possa intromettersi tra suo figlio e la serenità.
Quando la campana si solleva
Nonostante l’incessante difesa contro qualunque frustrazione intercettabile, arriverà il giorno in cui la campana si solleverà. Spesso perché il bambino è diventato troppo grande per la campana, e magari sarà proprio lui che vorrà sfilarsi da quelle mura trasparenti (chiamasi adolescenza). Perché che siano di vetro o di cemento, si tratta sempre di mura.
A quel punto, il giovane uomo o la giovane donna si troveranno fuori dal castello che fino a quel momento li ha tenuti al riparo dalle sofferenze della vita. Non stiamo parlando di morti, pestilenze e carestie. Parliamo di quelle piccole cose che, giorno dopo giorno, vanno a logorare il nostro senso di benessere e di autoefficacia.
Chi nella campana non è mai stato intrappolato, ha avuto tempo per “addestrarsi” al confronto con le piccole grandi frustrazioni quotidiane. Chi nella campana c’è rimasto, è cresciuto senza sapere come difendersi da questi lievi ma incessanti attacchi. Perché c’è sempre stato qualcun altro che l’ha fatto al posto suo.
È così, senza nessun tipo di armatura interiore (e forse anche con un’immagine di sé come persona indistruttibile, perché nulla, a parte la sbucciatura sul ginocchio, l’ha mai ferito sul serio fino a quel momento), ogni colpo della vita è un colpo messo a segno. Una ferita che fa un male mai provato.
Un rifugio sicuro
Ma come fare per conciliare il bisogno di proteggere e la necessità di preparare il proprio figlio alle sofferenze, agli insuccessi, alle frustrazioni della vita?
Non dobbiamo spaventarci se vediamo il nostro piccolo soffrire, perché è inevitabile che questo prima o poi accadrà. Quello che possiamo fare, in tutta coscienza, è cercare di aiutarlo il più possibile ad affrontare le difficoltà che incontrerà nel suo cammino.
Non affrontandole al posto suo, ma piuttosto insegnandogli come affrontarle. Fiduciosi delle sue emergenti capacità e coscienti del fatto che ogni caduta sarà occasione di crescita, piuttosto che una tremenda e devastante tragedia. Perché ciò che ci ferisce è anche ciò che può farci crescere, insegnandoci non solo che tutto si può superare, ma che siano noi stessi, con le nostre capacità, a poterlo fare. Quod nocet, docet.
E trasmettergli che, comunque vada l’esplorazione, ci sarà sempre un rifugio sicuro dove poter tornare. Sia per raccontare ciò che di bello ha visto, sia per cercare consolazione per ciò che di brutto ha incontrato. Con mamma e papà che guardano da lontano e aspettano, tranquilli, sull’uscio di casa.
Stare vicino e avere fiducia in loro. Solo così possiamo prepararli davvero a quello che la vita presenterà loro, nel bene e nel male.

«Vai e non aver paura. A ogni ginocchio sbucciato sarò lì con un cerotto e un abbraccio. A ogni tuo successo sarò lì a festeggiare con te. Comunque vada, sarò con te.»
Quali sono le tue idee rispetto alle libertà da concedere ai propri figli? Hai mai pensato al modo in cui aiuti tuo figlio o tua figlia ad affrontare le difficoltà di ogni giorno? Che strategie utilizzi? Dì la tua nei commenti, ogni genitore ha qualche insegnamento importante da condividere!
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