La ripetitività è nella nostra natura. Ogni singolo apprendimento, sia esso positivo o negativo, è frutto di ripetizioni. Ma così come abbiamo imparato a mettere in atto alcuni comportamenti, è possibile impararne di nuovi per non essere destinati a commettere sempre gli stessi errori.
Chi più, chi meno, ciascuno di noi tende a ripetere sempre gli stessi errori. Che sia la scelta di un partner o il modo di intervenire durante una discussione, nella nostra quotidianità è possibile osservare una certa tendenza a ripetere alcuni comportamenti. Quasi si trattasse di un copione già scritto, in cui non sembra esserci possibilità di uscire dal ruolo che, volenti o nolenti, ci siamo assegnati.
Ma perché continuiamo a ripetere gli stessi comportamenti? Sembra essere più forte di noi: quando ci troviamo in alcune situazioni è come se andassimo in automatico a riviverle come già fatto in passato. Con la conseguenza di mettere in scena sempre le stesse sequenze con l’inevitabile rimprovero del nostro regista interiore.
Già, perché non solo tendiamo a commettere gli stessi sbagli ogni volta che possiamo, in più, quando ce ne accorgiamo, completiamo la sequenza con una buona dose di autorimproveri. Che, spesso, hanno effetti anche peggiori dell’errore appena ripetuto.
Ma come mai siamo soggetti a queste dolorose ripetizioni? Cosa ci impedisce di spezzare l’incantesimo?
Esseri ripetitivi
Che ci piaccia o no, l’essere umano è un essere altamente ripetitivo. Semplicemente, funzioniamo così. Per quanto ci piaccia considerare noi stessi delle persone “senza schemi” e mai banali, la ripetitività fa comunque parte di noi.
Pensiamo anche solo alle piccole routine che ciascuno di noi ha nella vita quotidiana. Ad esempio, ciascuno di noi (me compreso) può facilmente identificare la successione di diversi comportamenti che vengono messi in atto al risveglio. Caffè, colazione, bagno, doccia, eccetera: ad ognuno la sua combinazione, ma la costante è che mettiamo in atto questa routine in maniera sistematica ogni mattina (forse, per alcuni, con l’eccezione del weekend!).
Chiaro, c’è chi è più attaccato a questi piccoli o grandi rituali e chi lo è in misura minore, ma in sostanza siamo tutti portati automaticamente a ripetere alcuni gesti. A dirla tutta, più che di “attaccamento” a queste ripetitività, in realtà sarebbe il caso di parlare di “rigidità”. Come vedremo, infatti, spesso il problema non è nelle routine, ma nella nostra difficoltà a farne a meno.
Ripetuta…mente
Quella della routine mattutina può sembrare un’osservazione banale e poco significativa, ma è comunque un piccolo indizio di come in realtà funziona il nostro cervello.
I diversi circuiti cerebrali, ovvero le reti di neuroni (le cellule del nostro cervello), ad esempio, si sviluppano per ripetitività. Quando una certa combinazione di cellule si attiva più volte, il circuito di rinforza e si stabilizza; al contrario, se non c’è un’attivazione costante, pian piano questa struttura perde di forza fino a estinguersi.
In parole povere, quando ripetiamo un comportamento, le strutture del cervello dedicate a quella funzione diventeranno più solide e si attiveranno più facilmente. Viceversa, se non compiamo più una certa azione, quindi non sollecitando più quel particolare circuito, col tempo questo si indebolirà e scomparirà della “mappa” del nostro cervello.
Un’analogia che mi piace molto è quella con i vecchi dischi in vinile. Ripetere un’azione è come scavare un solco nel disco. Se la puntina del giradischi va a finire in quel solco, quella sarà la musica che verrà suonata. Più è profondo il solco, più è difficile uscirne.
Ripetizione = apprendimento
Detta così può sembrare una cosa negativa, ma in realtà è grazie a questi meccanismi legati alla ripetitività che impariamo a fare ciò che sappiamo fare. Pensiamo, ad esempio, ai noiosissimi esercizi di pianoforte nei quali ripetiamo sempre la stessa scala musicale. Cosa succede se ci applichiamo ogni giorno, costantemente, a questi esercizi?
Arriverà il giorno, quando si saranno sviluppati e rinforzati i circuiti cerebrali legati al movimento delle mani, all’anticipazione della nota seguente e molti altri ancora, che eseguiremo quella stessa scala con grande sicurezza e precisione, senza nemmeno doverci concentrare sui movimenti da fare o sui tasti da suonare.
Quindi, ripetere serve ad imparare una cosa fino a quando il cervello non ce la farà svolgere in automatico… ovvero, senza che ci pensiamo.
Ansia a ripetizione
Quando parliamo di ansia non parliamo soltanto di un’emozione, ma anche di specifici pattern di comportamento dal carattere ripetitivo. Già, perché le sequenze che si possono osservare nei disturbi d’ansia sono decisamente il frutto di apprendimenti causati dalla ripetizione incessante di determinate azioni.
Anche senza considerare l’estrema ripetizione sistematica di alcuni gesti per ridurre l’ansia – come nel caso delle classiche “compulsioni” – possiamo comunque notare che c’è una certa ripetitività nelle azioni compiute da una persona che soffre d’ansia. Cosa fa una persona che teme un attacco di panico? Risponde alla propria paura con un comportamento, che solitamente ha a che fare con la fuga da una certa situazione o l’evitamento della stessa.
Questo perché, a causa delle ripetizioni di questo comportamento, la risposta tipica di fronte a un evento ansiogeno si è strutturata in maniera rigida. La persona ansiosa non ha nemmeno bisogno di pensare a “cosa” fare, quando si trova in quella specifica situazione, risponde automaticamente in base a ciò che nel tempo ha appreso: “se faccio così, l’ansia va via”.
Il problema, ovviamente, è che la fuga o l’evitamento di queste situazioni ha poi degli effetti molto importanti sulla vita di chi li mette in atto. Evitare sistematicamente di uscire di casa, perché, ad esempio, si ha paura di sentirsi male o di perdere il controllo, significa ridurre la propria vita sociale o lavorativa. Significa, in sostanza, che per evitare qualcosa di spiacevole e tremendamente spaventoso, si va incontro a conseguenze altrettanto dolorose ma sicuramente più “reali”.
Tutto questo perché si agisce in maniera automatica, lasciando che il nostro cervello selezioni in maniera ripetitiva sempre la stessa risposta.
Coazione a ripetere
Se è vero che piccole e innocenti routine mattutine sono caratterizzate da ripetitività, e se è vero che tendiamo a rispondere a singoli eventi o situazioni in modo stereotipato, è possibile sostenere che addirittura grosse “fette” della nostra vita siano il frutto di sequenze che tendono a ripetersi?
C’è chi, ad esempio, finisce per ritrovarsi sempre con la stessa tipologia di partner. Non è anche questa una specie di ripetizione? Magari all’inizio è più difficile notare i segnali che ci indicano che stiamo ripercorrendo, ancora una volta, sempre la stessa strada. Anche perché non sempre ci sono! È molto più probabile che sia l’interazione continua tra i due partner a caratterizzare una relazione che si rivelerà “uguale” a quelle già vissute.
Questo perché ciascuno dei due tenderà a “mettere” nella coppia le proprie ripetitività, col risultato che, col tempo, le dinamiche di coppia si organizzeranno in modo da adattarsi alle personali routine dei partner.
Cose già viste
Prendiamo un individuo molto “accudente”, al punto che la sua ultima relazione è finita perché la partner si è sentita “stretta” dalle sue continue attenzioni (vissute come “apprensioni”). Ipotizzando una buona capacità di analisi, il nostro amico potrebbe rendersi conto che i suoi comportamenti potrebbero essere stati la causa della rottura della relazione. Così, si ripromette di non farlo più. All’occasione successiva, infatti, è probabile che partirà in maniera più “soft”, evitando di riproporre le stesse “attenzioni soffocanti”.
All’inizio le cose potrebbero andare bene, non senza fatica dal trattenersi dalla propria “indole”. Arriverà però il giorno in cui inevitabilmente si “rilasserà”, abbasserà la guardia e gli automatismi prenderanno il sopravvento. In pratica, tenderà a rimettere in atto quegli stessi comportamenti “accudenti” che hanno segnato la relazione precedente.
Intendiamoci: a parte il fatto che si tratta di una semplificazione e che il secondo partner potrebbe anche “incastrarsi” bene in questa dinamica, il senso qui è che, nel piccolo e nel grande, la nostra tendenza è quella di essere ripetitivi.
Buone ripetizioni
Ma l’essere ripetitivi è un problema solo quando, nella migliore delle ipotesi, continuiamo a mettere in atto gli stessi comportamenti senza in realtà trarne alcun vantaggio. Nei casi peggiori, finiamo addirittura per complicarci la vita.
Ovviamente, rispetto al “semplice” apprendimento di una singola azione, l’analisi di copioni narrativi così ampi come, ad esempio, il modo in cui viviamo le nostre relazioni, risulta molto più complessa. Ma, nella sostanza, si tratta sempre di pattern ripetitivi.
Solo che, al di là dei circuiti cerebrali, che comunque sono la “base” del nostro funzionamento, spesso entrano in atto altri aspetti, molto più profondi e non immediatamente accessibili alla nostra coscienza, che hanno a che fare con i nostri bisogni, i nostri modi di stare con l’altro, l’immagine che abbiamo della nostra persona, di chi ci è vicino e del mondo in cui viviamo.
Nel concreto, però, la costante è sempre quella: nel bene o nel male, tendiamo a ripeterci. A prima vista potrebbe sembrare quasi una condanna, ma in realtà non è così. Le nostre routine, le nostre ripetizioni, i nostri comportamenti sono tutti frutto di ciò che abbiamo appreso. E quel che è stato appreso, è possibile disimpararlo.
Non è facile, ci vuole sicuramente tempo e pazienza, ma si può imparare nuovi modi di fare e di essere, per uscire dal circolo vizioso della ripetitività. Che sia un modo diverso di organizzarsi il mattino, una modalità differente di affrontare ciò che temiamo o la messa in atto di nuovi comportamenti all’interno di una relazione, c’è sempre la possibilità di conoscersi e di reinventarsi.
Del resto, come si suol dire, nella vita non si finisce mai di imparare.